Giuda 8-13
Ugualmente anche costoro, indotti dai loro sogni, contaminano il proprio corpo, disprezzano il Signore e insultano gli angeli.
Quando l’arcangelo Michele, in contrasto con il diavolo, discuteva per avere il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore! Costoro invece, mentre insultano tutto ciò che ignorano, si corrompono poi in quelle cose che, come animali irragionevoli, conoscono per mezzo dei sensi. Guai a loro! Perché si sono messi sulla strada di Caino e, per guadagno, si sono lasciati andare alle seduzioni di Balaam e si sono perduti nella ribellione di Core. Essi sono la vergogna dei vostri banchetti, perché mangiano con voi senza ritegno, pensando solo a nutrire se stessi. Sono nuvole senza pioggia, portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza frutto, morti due volte, sradicati; sono onde selvagge del mare, che schiumano la loro sporcizia; sono astri erranti, ai quali è riservata l’oscurità delle tenebre eterne.
La descrizione dei falsi maestri, che la lettera ruvidamente chiama “costoro”, si fa sempre più circostanziata e drammatica. Altri tre esempi biblici e quattro immagini tratte dalla natura contribuiscono a dipingere con tinte fosche e tragiche la loro figura. Essi sono “sognanti”, immersi in una bolla fatta dalle loro immaginazioni e pretese, dove si perde il rispetto per ogni dimensione sacra: il proprio corpo, la signoria di Dio, la gloria degli angeli. L’esempio positivo, messo a confronto con la loro insolenza, è quello dell’Arcangelo Michele, che non accusa neppure il diavolo, ma lo affida umilmente al giudizio di Dio. Per la lettera il problema di fondo di “costoro” è la perdita di ogni “santo timore”: “mangiano con voi senza ritegno”, letteralmente “senza timore”. La loro vita è tutta rivolta su se stessi, verso la soddisfazione delle loro brame senza limite, in una escalation di arroganza e dominio dei sensi che ha come unico centro la follia della propria affermazione e del proprio guadagno a discapito di tutto e di tutti. “Pensano solo a nutrire se stessi”: e non c’è nessun altro che costituisca un limite, né Dio, né gli angeli, né i fratelli. È la negazione dell’alterità, del mistero dell’altro, che diviene solo territorio da occupare, calpestare, dominare, e di cui servirsi. La conseguenza di questo “vivere per se stessi”, che è l’antitesi di Dio e del suo amore, è una vita sterile, incapace di portare frutti, inutile, che produce solo rifiuti, vana: in modo mirabilmente efficace e poetico Giuda descrive, attraverso quattro immagini tratte dalla natura, il dramma di questa vita che, cercando solo se stessa, si condanna al proprio ineluttabile fallimento. È la sorte da cui il Signore, offrendo la sua vita, ci ha salvato: guai a noi se ci lasciamo di nuovo affascinare da questa folle strada di menzogna, di egoismo e di perdizione!