Isaia 12,1-6
Tu dirai in quel giorno: «Ti lodo, Signore; tu eri in collera con me, ma la tua collera si è placata e tu mi hai consolato.
Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza».
Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza.
In quel giorno direte: «Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere, fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele».
La prima parte del libro del profeta Isaia si conclude con questo inno di ringraziamento. Il resto di Israele, il popolo nuovo, che ha sperimentato la salvezza di Dio, fa sentire la sua voce. Il giorno della consolazione è anche il giorno della celebrazione di lode: le opere di Dio, riconosciute e accolte, ricevono la risposta del rendimento di grazie da parte del popolo fedele. La lode contiene la memoria di un castigo, di una collera di Dio che l’ha purificato e che ora ha lasciato il posto alla consolazione. Si rinnova, oltre al prodigio di una strada di salvezza aperta da Dio per il suo popolo, anche il cantico dell’esultanza: “mia forza e mio canto è il Signore!” aveva già cantato Israele dopo aver attraversato il Mare Rosso (cfr. Es 15,1-21!). Una salvezza antica, come atto di nascita di un popolo, che si rinnova ora e che si prolunga verso un pieno compimento futuro: “tu dirai in quel giorno… in quel giorno direte…!”. Il riconoscimento è che non semplicemente quello che Egli fa per Israele, ma Lui stesso è la salvezza: “ecco, Dio è la mia salvezza… Egli è stato la mia salvezza”: il resto fedele ha finalmente imparato ad avere fiducia in Lui, e a non più temere (come invece il re Acaz e il popolo, orgogliosi e al tempo stesso impauriti di fronte alle grandi potenze del mondo). Il Signore stesso è la salvezza, è la sorgente perenne e viva della salvezza dalla quale si può continuamente attingere acqua; la salvezza è la relazione con Lui, in una alleanza fedele che apre alla gioia di una esistenza integra e che sempre si rinnova nella giustizia, nella fiducia, nell’amore, nella comunione. Il popolo nuovo, salvato e fedele, rende grazie al Signore, e così proclama “fra i popoli le sue opere”, perché, ascoltando gli inni di lode, “tutta la terra” conosca le grandi opere di Dio: “la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare” (11,9!). Il compito di questo popolo allora è: “canta ed esulta!”; Gerusalemme, colei “che abita in Sion”, non si gloria orgogliosa della propria bellezza, ma riconosce l’Emmanuele, il Dio con noi, il Dio in mezzo a noi, il “Santo”, la cui presenza è sempre misteriosa e inafferrabile: Egli è “grande”, supera le “dimensioni” di questo popolo, ma al tempo stesso è “in mezzo a te”. Ecco il vanto e la gloria di Gerusalemme: non in ciò che è ma nell’essere abitazione di Dio che è salvezza per tutti, nella lode e nel rendimento di grazie.