Isaia 58,1-7
Grida a squarciagola, non avere riguardo;
alza la voce come il corno,
dichiara al mio popolo i suoi delitti,
alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi cercano ogni giorno,
bramano di conoscere le mie vie,
come un popolo che pratichi la giustizia
e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio;
mi chiedono giudizi giusti,
bramano la vicinanza di Dio:
«Perché digiunare, se tu non lo vedi,
mortificarci, se tu non lo sai?».
Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari,
angariate tutti i vostri operai.
Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi
e colpendo con pugni iniqui.
Non digiunate più come fate oggi,
così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Al profeta è affidata una parola da gridare! Un popolo sordo ha bisogno di una voce forte, chiara, senza cedimenti e senza ambiguità, che mostri tutta la menzogna di una via ingiusta e ipocrita. Nei versetti precedenti avevamo visto come il Dio sdegnato e “nascosto” riceve in cambio la malvagità noncurante di un popolo che, “voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore”. Ora il peccato che solo il grido del profeta può smascherare è ben più insidioso: “mi cercano ogni giorno, bramano la vicinanza di Dio”, sono le espressioni più belle e alte, care al Salterio, per dire lo slancio verso Dio, il desiderio di vivere pienamente nella sua volontà. Ma è tutta una messa in scena: questo popolo in realtà non pratica la giustizia e ha abbandonato il diritto del suo Dio! L’unico motivo del loro “cercare Dio” è ottenere da Lui soddisfazione sull’avversario, avere ragione! Per questo l’ostentazione delle loro pratiche religiose si trasforma in una amara e risentita lamentazione: “Perché abbiamo digiunato e tu non lo hai visto, ci siamo mortificati e tu non te ne sei accorto?”. Il digiuno è per loro un modo per avere un credito con Dio (o con la vita) e rivendicare la buona riuscita dei propri affari, che sono l’unica cosa che importa loro, a spese dei loro operai (gente ricca, dunque!), e con metodi intimidatori e violenti. Beh, dice il Signore, pensate davvero di essere ascoltati dal cielo con questo genere di digiuno? (letteralmente sarebbe: “Non potete digiunare come fate oggi e aspettarvi che la vostra voce sia udita in alto!”). Se il digiuno si accompagna a questa ostinata, violenta e ingiusta ricerca del proprio interesse, allora è tutto inutile ciarpame religioso, di cui il Signore ha solo la nausea (cfr. Is 1,11-15!)! Non se ne fa niente di mortificazioni, capo chino, sacco e cenere (cfr. Mt 6,16!). Il digiuno che il Signore vuole non è un patetico tentativo di averlo dalla propria parte, ma il riconoscimento del proprio peccato e la disponibilità a cambiare, ad agire secondo la sua giustizia verso gli altri! Verso tutti coloro che hanno bisogno di liberazione, di ritrovare la propria dignità, di essere ammessi a una tavola dove il pane è condiviso, per saziarsi di cibo e di amicizia, di trovare una casa accogliente per la propria miseria, di essere visti e coperti nella propria nudità indifesa. Il digiuno gradito a Dio è sollevare lo sguardo da se stessi e dai propri meschini interessi e accorgersi degli altri, è “fare giustizia”, a partire dai vicini, con tutti gli uomini che ne hanno fame e sete.