Collatio 02-05-2020

Atti 4,13-22

Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare.

Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: «Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di parlare ancora ad alcuno in quel nome». Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. L’uomo infatti nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni.

I capi ora si trovano spiazzati. Si rendono conto di avere a che fare non con popolani manipolabili, dei semplici che possono intimidire facilmente, ma persone con una consistenza umana, una libertà, una consapevolezza, una pacata fermezza che ora non sanno come gestire. Accanto a Pietro e Giovanni, sereni e risoluti, c’è anche quell’uomo guarito, che semplicemente sta, con la forza della sua presenza, del suo corpo risanato, lì accanto a loro. Davanti all’eloquenza oggettiva di quel corpo risanato i capi non sanno cosa dire. Al solito, quando il potere basato sulla forza e la falsificazione si accorge di non incutere più paura, si disinnesca, gira a vuoto. Ora ai capi tocca di rifare il punto della situazione e cambiare strategia per cercare di arginare un fenomeno che pensavano di controllare agevolmente. Ora c’è l’evidenza del segno, che come al solito è la presenza tangibile di una umanità risanata: per dei capi cui interessa solo il mantenimento del loro potere quel che dovrebbe rappresentare una buona notizia (un uomo malato e a carico della collettività che diventa una risorsa per sé e per gli altri…) è paradossalmente percepito come un ostacolo, una grana da risolvere! La strategia dunque diventa l’insabbiamento, condito con le solite minacce (che sembra l’unico linguaggio di un potere svuotato), dal momento che negare pubblicamente sarebbe controproducente… Ma ovviamente ormai l’intimidazione non funziona con gli apostoli, che non riconoscono più un’autorità basata sulla menzogna e la violenza. Quello che non possono più fare è proprio tacere. E qui sta il senso libero e lieto della loro testimonianza: non devono convincere gli altri o presentare l’importanza di quello che hanno fatto (troppo spesso intendiamo in questo modo moralistico o eroico la “testimonianza” cristiana…!), ma semplicemente dare conto di ciò che hanno “vissuto”, e cioè di come sono stati “spettatori e uditori”, nella loro vita, di ciò che il Signore ha fatto e detto. Loro hanno “visto e ascoltato”. È la testimonianza di chi ha avuto gli occhi aperti e le orecchie attente. Hanno visto Gesù condannato ingiustamente dai capi, dai quali ora sono loro stessi perseguitati. Hanno udito le loro menzogne e le loro trame. Ma soprattutto hanno visto il Signore risorto e all’opera, e la sua parola ancora a illuminarli e sorreggerli nell’ascolto e nella preghiera delle Scritture. Per ora i capi sono costretti a lasciarli andare, a motivo del favore delle folle nei confronti degli apostoli. Ma si sa, il successo popolare non dura molto, e arriverà il tempo per la resa dei conti.

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