Atti 7,54-8,1a
All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano.
Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.
Saulo approvava la sua uccisione.
La parola che rivelava l’ostinazione e l’idolatria “nel cuore e nelle orecchie” e l’opposizione allo Spirito, si conferma drammaticamente nell’atteggiamento degli oppositori di Stefano. Invece che lasciarsi trafiggere e muovere a conversione, come nell’assemblea di Pentecoste (2,37), questa volta i cuori sembrano “andare in pezzi” (letteralmente, come già in 5,33) e reagire con un fremito d’ira che spinge alla cieca violenza (denti che digrignano perché non vedono l’ora di azzannare…!) nei confronti di Stefano, che con le sue parole ha denunciato la loro infedeltà e ipocrisia. Stefano dunque, proprio in questo momento, sa alzare gli occhi, e dalla sua posizione di vittima innocente, pieno di Spirito Santo, sa vedere la verità del cielo, la piena manifestazione della gloria di Dio, quella gloria (cfr. 7,2!) che dalle peregrinazioni di Abramo e le vicende dei padri, fino a Mosè e Davide, accompagna la storia del popolo di Dio, e che ora egli contempla perfettamente compiuta nel Figlio dell’uomo assiso alla sua destra. Stefano contempla la bellezza di un cielo aperto, una gloria che non può stare rinchiusa in un tempio o in una qualunque istituzione religiosa, ma che si manifesta, oltre ogni confine, nello spazio aperto di un cielo pronto ad accogliere tutti, in una misericordia senza limiti. Quella che per i suoi accusatori è l’espressione blasfema che non può essere udita e merita solo la condanna terribile della lapidazione, è per Stefano il riconoscimento dello spazio immenso della misericordia di Dio, di cui Gesù è testimone e garante, e che può ora accoglierlo come figlio amato, perdonato, rivestito di gloria. Il suo spirito è così ricolmato della certezza di questa misericordia senza limiti, da poter affidare al perdono di Dio anche i suoi uccisori, il cui peccato terribile diventa piccola cosa davanti all’amore trasformante di Dio. La sua morte è descritta in perfetta sintonia con la morte di Gesù (la consegna di sé cfr. Lc 23,46, la richiesta di perdono cfr. Lc 23,36), e come un addormentarsi (lett. è “sì addormentò”), fiduciosamente abbandonato. Una morte, quindi, che non può essere senza frutto: c’è “un giovane, chiamato Saulo”, che collabora alla lapidazione di Stefano e ne condivide le motivazioni, ma che da questo momento deve fare i conti con qualcosa che comincia a lavorarlo dentro, in profondità. Quella testimonianza di mitezza nella persecuzione, di fiducia in Dio, di certezza nella sua misericordia, di amore in cambio di odio, apre uno spazio nuovo nel cuore di Saulo: continuerà, ora forse ancora di più, a perseguitare i discepoli di Gesù e a cercare di distruggere la chiesa (8,3), ma quella morte, nella quale si è manifestato il cielo, l’ha già conquistato ad una vita nuova, una vita che non tarderà a manifestarsi.