Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.
E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Come annunciato da Giovanni (“viene uno più forte dietro a me…”) ecco in pochi, sobri e densi versetti il venire di Gesù “da Nazareth di Galilea”. Il suo battesimo per mano di Giovanni è appena accennato. Tutto avviene dopo: il suo risalire dall’acqua si apre ad una sua personale e intensa esperienza spirituale, di cui lui solo è testimone. Sono tutti spariti: non ci sono folle, non c’è neppure Giovanni. Tutto si muove su una direttrice verticale e vertiginosa: salire dall’acqua, scendere dal cielo. Il cielo che come uno schermo separa il mondo di Dio dal mondo degli uomini Gesù ora lo vede “squarciato”, non più in grado di proteggere il mistero di Dio dalle manipolazioni degli uomini e le faccende degli uomini dall’amore geloso e ardente di Dio. C’è qualcosa di violento in questa apertura che è uno squarciarsi: ora qui l’Altissimo si abbassa, ma anche Gesù accetta l’invadenza del fuoco di Dio nella sua vita. Giovanni aveva annunciato Colui che ci avrebbe immerso in un battesimo di Spirito Santo, ma prima di tutto è Gesù che riceve un battesimo, certo quello di Giovanni, ma molto di più quello dal cielo: una effusione di Spirito Santo che scende su di lui come fu per l’umanità nuova salvata dal diluvio. Gesù è totalmente passivo: è questa la radice di ogni esperienza spirituale. Una voce dal cielo squarciato si rivolge a lui: “Tu sei mio”. Dovremmo meditare su questo possessivo. Da questo momento Gesù è interamente afferrato e condotto dallo Spirito. Vive come Figlio, guidato da un amore e da un compiacimento celeste che saranno il suo unico orizzonte, il suo nutrimento, il suo respiro profondo. Gesù non ha una sua direzione autonoma: è “in balia” dello Spirito, che lo scaraventa (anche qui c’è un verbo “violento”) nel deserto, nella solitudine. La solitudine è per Gesù, come per tutti, lo spazio necessario per fare esperienza, fino nel midollo, dell’appartenenza a Dio. Evitare questa solitudine significa rimanere aggrappati al disperato tentativo di appartenere a noi stessi, nell’illusione di poter guidare la nostra vita. Satana è lì, per mettere alla prova questa appartenenza filiale a Dio, perché qui c’è davvero la potenza del Signore. Tutta la creazione è radunata presso l’inizio di questa nuova umanità tutta afferrata dallo Spirito di Dio: le bestie selvatiche e gli angeli, in una armonia che è pegno del mondo futuro e definitivo. Davvero Gesù è “il più forte”: prima ancora che, come aveva detto Giovanni, per il potere di immergerci nello Spirito Santo, per il suo “reggere” il cielo squarciato su di lui. È il più forte perché accetta di non nascondersi, di rinunciare a qualsiasi spazio proprio, di accogliere la voce dal cielo che gli dice “tu sei mio figlio”, di lasciarsi afferrare e condurre dallo Spirito, attraverso la solitudine messa alla prova, in una esistenza interamente presa da Dio. È questa la verticale sulla quale il vangelo di Marco ci introdurrà ad una vita battesimale, cioè ad una vita di sequela e di partecipazione al mistero del Figlio amato di Dio.