Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Torna l’alternanza di scenario che domina questo viaggio verso Gerusalemme: dalla casa di nuovo si passa alla strada. L’ingresso di un nuovo personaggio è travolgente: entusiasta e zelante corre incontro a Gesù, gli si prostra dinnanzi e si rivolge a Lui con parole di lusinga che rasentano l’adulazione: “Maestro buono…!”. La sua domanda è al tempo stesso il riflesso della sua alta aspirazione e una generosa esibizione di buone intenzioni: “che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Ma Gesù sembra insensibile ai complimenti: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Non si tratta di dirci tra noi quanto siamo buoni, ma di risalire alla sorgente unica di ogni bontà: nell’incontro con Gesù immediatamente appare chiaro come tutto si “verticalizzi” in un’appello essenziale alla relazione con Dio. Non saranno le opere buone che facciamo (quest’uomo sembra tutto preso da quello che lui può “fare”) a renderci degni di ricevere in eredità la vita in pienezza, puro dono di Dio fonte di ogni bontà. Del resto quest’uomo già conosce quel che deve fare: camminare nei comandamenti per lasciarsi purificare e liberare dalle tante passioni che falsificano e contaminano di violenza e bramosia le relazioni con gli altri (“non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare”) ed essere infine in grado di accogliere e benedire la nostra vita così com’è (“onora tuo padre e tua madre”). La risposta (questa volta corretta con un incipit più “sobrio”) è ancora il riflesso, in quest’uomo, della confidenza in se stesso , e della sua onesta coscienza: “maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Qui il racconto si interrompe per un momento, quasi si sospende in un attimo infinito: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. È una delle espressioni più intense e commoventi di tutti i vangeli, nella forza inerme della sua sobrietà. Qui tutto riceve un nuovo inizio. Gesù non ha niente da dargli, solo questo sguardo, questa relazione piena di amore. Gesù è povero in questo mondo e ha solo questo da condividere con lui. Questa è l’unica cosa che ha e che può dargli. L’unica cosa che manca a questo uomo, ma che potrà avere, come un tesoro in cielo, solo se sarà l’unica: “va’ vendi quello che hai…”. L’invito semplice di Gesù è seguirlo in questa avventura spoglia e affidata, dominata dall’amore del Padre: “e vieni! Seguimi!”; tutto qui. Troverai molto più di quello che lasci! Ma il brano si conclude con un fallimento. L’invito completamente disarmato di Gesù a condividere la povertà filiale del suo amore come “unica cosa necessaria” incontra il disappunto rattristato di quell’uomo pieno di buone intenzioni. Avrebbe potuto fare di tutto per dimostrare la sua buona volontà, ma non accogliere questa proposta paradossale e umiliante. Solo chi entra nell’amore si ritrova povero e ne comprende il linguaggio e le esigenze. Non si trattava di aggiungere qualcosa di ancor più eroico alla sua giustizia, ma di rinunciare alle “tante cose”, ai “molti beni”, per rimanere con un’unica cosa, l’amore di Gesù, spoglio davanti all’unico buono, Dio. Chi vuole seguire Gesù è avvisato: non bastano gli entusiasmi e l’obbedienza ai comandi. Le ricchezze che possediamo ci possiedono e ci impediscono di andare dietro a lui con cuore davvero libero e consegnato, lasciandoci alla tristezza risentita di chi ha rinunciato all’amore.