Matteo 28,16-20
Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Siamo qui, al luogo dell’appuntamento finale (cfr. 26,32; 28,7.10) dei discepoli con il Risorto in Galilea, e al culmine di tutto il Vangelo. I discepoli sono undici: portano evidente la ferita di un tradimento che li ha lasciati “menomati”, hanno addosso la memoria dolorosa di una passione e di una morte che li ha umiliati, consapevoli del loro abbandono, rinnegamento, peccato. Eppure sono lì dove Gesù li ha invitati, chiamandoli, attraverso le donne, “fratelli”; sono lì obbedendo alla voce del maestro fedele all’alleanza nel suo sangue versato per la remissione dei peccati (26,28). Sono lì, prostrati e dubbiosi. Dubbiosi, ma pure prostrati. Gesù non si rivolge loro se non prima avvicinandosi. Vuole che le sue parole giungano a loro non da lontano, o da sopra, ma da vicino. È la parola di Colui che ha affrontato e attraversato la tristezza, ha provato l’angoscia (27,37-38), e ora può dire: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”, sì, anche sul dubbio e sulla paura. La parola menzognera continua a ingannare, e i discepoli non hanno vinto i loro dubbi, ma non c’è da temere: Gesù è il Signore, ogni cosa è a lui misteriosamente e definitivamente sottomessa, e con questa pienezza di autorità invia i suoi discepoli fragili e titubanti, ma che scelgono comunque di affidarsi a Lui. Il compito di questo invio è quello di rendere le genti “discepoli”. Dovranno attirare e invitare gli uomini di ogni nazione a condividere la loro “condizione discepolare”, quella non di chi sa già tutto, ma di chi è disposto a imparare, a mettersi in ascolto, a camminare dietro a Gesù per scoprire la volontà del Padre e a trovare in questo la propria vocazione. Un cammino incessante nel mistero di Dio rivelato in Gesù: è la vita battesimale, cioè (letteralmente) “immersa” in Lui. “Battezzateli”, cioè “immergeteli” nel mistero di Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo. È una vita che si riconosce interamente sovrastata, avvolta da Lui, nella concreta vicenda della fede, che mai giunge a eliminare il dubbio, se rimane relazione e non degenera in “convinzione”. Per questo i discepoli dovranno “insegnare ad osservare”: cioè dovranno insegnare a camminare umilmente nelle parole di Gesù. Essere discepoli non sarà teorizzare, sapere, ma vivere camminando dietro a Gesù e così, nella concretezza di questo vivere obbediente, scoprire il volto di Dio, affidandosi totalmente alla presenza fedele del Risorto tutti i giorni, cioè nella quotidiana concretezza della vita, fino alla fine del mondo. Il Risorto è ora semplicemente e per sempre colui che è “con noi”, è l’Emmanuele il “Dio con noi” (1,23), colui che aveva promesso: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (18,20). Il Vangelo non si conclude come narrazione. Rimane sospeso con queste parole ultime, solenni, definitive, che riempiono tutto il tempo fino al suo ritorno, mentre la comunità dei discepoli sperimenta, nel suo essere inviata a tutti, la misericordiosa, potente e consolante compagnia di Lui.