2 Tessalonicesi 2,1-4
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.
Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio.
Paolo entra ora nel merito del problema dottrinale ed esistenziale che riscontra nella comunità e che ha provocato questa sua seconda lettera. Il punto riguarda il modo con cui i cristiani di Tessalonica si rappresentano l’attesa della venuta di Gesù e come questo influisce concretamente nella loro vita. Per prima cosa Paolo ci dà una bella sintesi della speranza cristiana: attendiamo il compiersi di una presenza piena di Gesù, del realizzarsi di un incontro definitivo di comunione con il nostro Signore e quindi il nostro radunarci in Lui, il nostro diventare, senza più divisioni e incomprensioni, un cuore solo e un’anima sola. La speranza cristiana è diventare una cosa sola con il Signore Gesù e, in Lui, una cosa sola tra noi. Il problema di alcuni fra i Tessalonicesi è vivere questa attesa come un evento così incombente, o addirittura già presente, da rendere irrilevante questo tempo, tutto già travolto dal “giorno del Signore”. In ogni tempo la Chiesa vive il pericolo di utilizzare la propria speranza per sfuggire le contraddizioni del presente. Ispirazioni, locuzioni, visioni, apparizioni, lettere… che rischiano, quando non sono esperienze saldamente evangeliche, di “saltare” la complessità del reale per proiettarci in una visione semplificata, che dà voce ai nostri disagi e alle nostre paure per risolvere tutto a un livello “sovrannaturale”. La speranza cristiana è piena di fiducia e senso di responsabilità. Non ci deve riempire di terrore o di vuoto entusiasmo religioso o di fanatismo, facendoci dimenticare la nostra cura verso noi stessi, gli altri, il mondo. È uno sconvolgimento della mente, che si inganna, e un turbamento delle emozioni, che ci consumano. E tutto questo ci distoglie dalle sfide vere che mettono in pericolo la nostra fedeltà nel tempo che ci è dato e nella storia che viviamo: la apostasia, cioè un dilagante venir meno della fede tra i credenti, e il manifestarsi dell’Anticristo, dell’uomo che si innalza e si mette al posto di Dio. La storia, nell’attesa di Gesù che viene, deve fare i conti con lo spirito dell’apostasia e con lo spirito dell’Anticristo. Per questo la Chiesa, in particolare in questo tempo di Avvento, continua a pregare con semplicità e fiducia: “vieni, Signore Gesù!”.