Collatio 15-12-2018

2 Tessalonicesi 3,6-18

Fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l’insegnamento che vi è stato trasmesso da noi.

Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità. Ma voi, fratelli, non stancatevi di fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello. Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi. Il saluto è di mia mano, di Paolo. Questo è il segno autografo di ogni mia lettera; io scrivo così. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.

Paolo conclude la sua lettera con una raccomandazione finale che riguarda il modo di comportarsi all’interno della comunità. E qui ancora, per la terza volta in pochi versetti, si fa riferimento alla “tradizione”, all’insegnamento che è stato trasmesso, e si comprende ora più precisamente cosa significhi per Paolo: la tradizione non è la semplice trasmissione di un contenuto teorico, ma l’affidamento di una parola di salvezza che è un tutt’uno con uno stile di vita nuovo, redento, è la consegna di se stessi come strada affidabile e buona. Da quella notte in cui Gesù consegna se stesso ai discepoli nel pane spezzato e nel calice versato, la tradizione viva nella Chiesa è sempre consegna di Lui e insieme consegna di se stessi nell’amore. In particolare qui Paolo ricorda il suo modo operoso di stare in mezzo a loro, come segno di vita buona da imitare. L’attesa di Gesù che viene, diventa amore fattivo che si fa carico concretamente della responsabilità della vita propria e altrui. Ricorda gli ultimi insegnamenti di Gesù nel vangelo di Matteo, riguardanti lo stile dei discepoli nell’attesa del suo ritorno: il servo fedele e prudente che dà il cibo a tempo opportuno, le vergini sapienti che preparano l’olio per l’arrivo dello sposo, i servi buoni e fedeli che fanno fruttare le mine affidate e infine i “benedetti del Padre mio” – dirà il Signore Gesù sul trono- che ereditano il Regno perché “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… perché quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 24-25). L’attesa cristiana è operosa, laboriosa. Perché è una attesa nel segno dell’amore (2,16-17!). È l’amore che Paolo testimonia, usando la sua autorità per questo, è l’amore possibile in una vita ordinata e laboriosa, è l’amore per il fratello “disordinato”, affannato e inconcludente che deve sentire non la condanna, ma la nostalgia per una vita che porti frutto. Il Signore della pace ci dà sempre e in ogni modo ancora pace.

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