Isaia 6,1-7
Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.
Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato».
Eccoci al cuore della testimonianza profetica di Isaia. Ora egli parla in prima persona per narrare l’esperienza ardente del suo incontro con Dio. Il riferimento di tempo, la morte del re Ozia, e di luogo, la liturgia del tempio (Isaia doveva appartenere alla classe sacerdotale), aprono alla visione di Dio come al detentore dell’unica vera perenne regalità sul mondo. Il coro ininterrotto dei serafini proclama la sua immensa santità, la sua assoluta trascendenza e allo stesso tempo la pienezza traboccante della sua presenza gloriosa nel mondo e nella storia. Nessuna parola può esprimerlo, nessuna intelligenza comprenderlo. Egli è il sempre-oltre, assiso sul trono alto ed elevato, irraggiungibile, ed è il sempre-presente, i lembi del cui manto riempiono il tempio. Nulla sfugge alla piena presenza di Colui che nessuno può raggiungere. Persino i serafini nella loro santità non possono posare lo sguardo sul tre volte Santo. Il tempio stesso trema, pieno di una presenza gloriosa alla quale non regge. Eppure Isaia vede: i miei occhi hanno visto il re! Per questo Isaia si sente perduto. Come potrà sopravvivere a questa esperienza? (cfr. Es 33,20; Gdc 13,22!). Solo di pochi le Scritture attestano che videro Dio (Abramo in Gen 18; Giacobbe in Gen 32,31; Mosè in Es 33,11 e Dt 34,10). La assoluta santità di Dio e la sua immensa gloria mostrano ad Isaia il suo essere “un uomo dalle labbra impure”. Insieme con il suo popolo è radicalmente insufficiente a sostenere questa rivelazione. È una rivelazione che lo annichilisce: “sono perduto!”. C’è bisogno di una purificazione, per il profeta, come lo sarà, drammaticamente, per il popolo. Un tizzone ardente dal braciere dell’altare deve toccare, bruciare le labbra impure di Isaia. Lo stesso serafino è costretto ad utilizzare “le molle”: non può toccare la parola infuocata di Dio destinata alle labbra del profeta. Una parola che non si può prendere, si può solo lasciarsi toccare, ustionare, dalla rivelazione della santità e della gloria di Dio. Questo solo purifica dal peccato, purifica dall’orgoglio davanti a Dio, dalla pretesa di comprenderlo, di imbrigliarlo nei nostri schemi e nei nostri progetti, di farne un idolo a nostro uso. Di qui scaturisce la “missione impossibile” (lo vedremo nei prossimi versetti) del profeta verso il suo popolo. Ogni volta che, durante la Messa, entriamo nella preghiera eucaristica, lo facciamo con la proclamazione della santità e della gloria di Dio che i serafini cantano ininterrottamente.