Collatio 2-3-2019

Isaia 25,6-12

Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.

Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».
Moab invece sarà calpestato al suolo,
come si pesta la paglia nel letamaio.
Là esso stenderà le mani,
come le distende il nuotatore per nuotare;
ma il Signore abbasserà la sua superbia,
nonostante l’annaspare delle sue mani.
L’eccelsa fortezza delle tue mura
egli abbatterà e demolirà,
la raderà al suolo.

Siamo al culmine della visione del profeta sull’orizzonte ultimo della storia e dei popoli: sul monte di Gerusalemme finalmente il Signore imbandirà il banchetto abbondante e sopraffino della vita piena, della comunione e della gioia, non solo per Israele, ma per tutti i popoli. Egli “strapperà il velo… eliminerà la morte…”: tradotto in italiano in due modi diversi il verbo indica un eliminare che è anche un “ingoiare” (cfr. 1Cor 15,54!). Dio in questo banchetto divora, toglie di mezzo la morte che come un velo impedisce di vedere. Gli abitanti della terra sono schiacciati dalla paura di morire, che li rende schiavi (cfr. Eb 2,14-15!) della diffidenza e della avidità, dell’orgoglio e della violenza, e non possono aprirsi al dono della vita. Il Signore viene a togliere questo velo, ad asciugare le lacrime, a offrire la sua salvezza tanto attesa. Certo c’è anche chi non accetta l’invito al banchetto, chi rimane schiavo della paura e vuole salvarsi da solo, come chi annaspa per non affogare. Moab qui è il paradigma di questa possibilità di resistenza fino alla fine: non voler ricevere la salvezza come dono, ma innalzarsi confidando nell’opera delle proprie “mani” stese. Il popolo fedele invece, liberato dalla paura, riconosce e accoglie l’opera della salvezza come il dono sperato, atteso, invocato, e fa la sua piena professione di fede: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza!”.

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