Isaia 27,6-13
Nei giorni che verranno Giacobbe metterà radici,
Israele fiorirà e germoglierà,
riempirà il mondo di frutti.
Lo ha percosso quanto lo percosse il suo percussore?
Oppure fu da lui ucciso come lo furono i suoi uccisori?
Egli è entrato in contesa con lui, cacciandolo via, respingendolo,
lo ha rimosso con il suo soffio impetuoso,
come quando tira il vento d’oriente!
Proprio così sarà espiata l’iniquità di Giacobbe
e questo sarà tutto il frutto per la rimozione del suo peccato:
mentre egli ridurrà tutte le pietre dell’altare
come si fa delle pietre che si polverizzano per la calce,
non erigeranno più pali sacri né altari per l’incenso.
La fortezza è divenuta desolata,
un luogo spopolato e abbandonato come un deserto;
vi pascola il vitello, vi si sdraia e ne bruca gli arbusti.
I suoi rami seccandosi si spezzeranno;
le donne verranno ad accendervi il fuoco.
Certo, si tratta di un popolo privo d’intelligenza;
per questo non ne avrà pietà chi lo ha creato
né chi lo ha formato ne avrà compassione.
Avverrà che, in quel giorno,
il Signore batterà le spighe,
dal Fiume al torrente d’Egitto,
e voi sarete raccolti uno a uno, Israeliti.
Avverrà che in quel giorno suonerà il grande corno,
verranno gli sperduti nella terra d’Assiria
e i dispersi nella terra d’Egitto.
Essi si prostreranno al Signore
sul monte santo, a Gerusalemme.
Non ora, ma nei giorni che verranno il popolo di Dio conoscerà una tale vitalità e un tale rigoglio da riempire dei suoi frutti il mondo. Il popolo umiliato, percosso, castigato, esiliato è destinato da Dio ad una risurrezione gloriosa e piena di bellezza. Ma qui sorge la domanda: quello che è successo a Israele, il castigo che ha subito nella sua storia, ha lo stesso significato della condanna che Dio ha inflitto altri popoli, suoi oppressori? Il popolo di Dio è divenuto nemico di Dio, che lo ha cacciato, respinto, esiliato “con il suo soffio impetuoso, come quando tira il vento d’oriente” e nulla può resistergli. Ma questa sofferenza è stata per Israele motivo di espiazione, di purificazione dall’idolatria, di liberazione dalla menzogna. Ma c’è un’altra storia, misteriosa, sempre incombente per l’umanità: quella della “fortezza divenuta desolata”, che non vuole imparare dalla propria sofferenza e umiliazione, che si difende da ogni colpo della vita, si chiude, rimane sola, perché è “priva di intelligenza”; una umanità impaurita e inospitale, che diventa luogo disumano, senza pietà, senza vita, e che non sa accogliere la pietà e la compassione di Dio. Qui il castigo non si trasforma in risurrezione. Anche noi possiamo rimanere in questa esperienza di “sofferenza maledetta”, senza frutto, o entrare a far parte del popolo santo di Dio se, anche se dispersi nel mondo, smettiamo di indurire la nostra “fortezza” davanti alla sofferenza e accettiamo di prendere la nostra croce mettendoci alla sequela di Gesù che “imparò dalle cose che patì” (Eb 5,8!): saremo anche noi “raccolti uno a uno” davanti al Signore in quella comunione più grande che ci attende “sul monte santo a Gerusalemme”.