Ebrei 1,1-4
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Entriamo nella Lettera agli Ebrei attraverso questo maestoso “portale” che raccoglie tutto nel Figlio sotto la sovranità celeste di Dio. È Dio il grande protagonista della storia, che dalla creazione conduce tutto verso il suo compimento in Gesù. Prima di tutto c’è l’antica storia dei padri, scelti da Dio come suoi interlocutori attraverso tutta la varietà e la ricchezza della parola profetica: in Israele Dio si è rivelato a più riprese e in tanti modi, ne sono prova anche tutti i “generi letterari” delle Scritture, che danno testimonianza delle tante vicende della storia di salvezza attraverso cui il Signore ha parlato al suo popolo per bocca dei profeti. Tutta questa storia, la sua complessità, molteplicità, varietà, non è solo il segno di una grande ricchezza, e della inesausta, tenace volontà di Dio di comunicarsi al suo popolo; è anche il segnale che questo continuato, ripetuto tentativo di rivelazione di sé da parte di Dio non è giunto a pienezza “nei tempi antichi”, ma è rimasto in attesa di un compimento fino a questi giorni che sono il tempo finale: sono i giorni del Figlio, nel quale Dio ha dato la sua parola definitiva. E sono i giorni “nostri”, perché è a noi che questa parola è rivolta. È in lui, nel “Figlio”, che Dio parla, in colui che in quanto figlio è prima di tutto “erede”, perché tutto il futuro gli è destinato e gli appartiene, e così il passato: è per mezzo di Lui che Dio “ha fatto i secoli”. Ora, nel presente, tutto è sostenuto, mantenuto all’esistenza con la sua parola potente, perché egli stesso è lo splendore, ciò che si può vedere della gloria di Dio, e l’impronta, ciò che si può toccare della sua sostanza. Ci viene in mente l’ouverture della prima lettera di Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1-3); o anche l’inizio del vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,1-3.14). Dio ha parlato in Gesù soprattutto nel mistero della sua pasqua, la sua morte e risurrezione, con cui “ha compiuto la purificazione dei peccati” e si è seduto “alla destra” di Dio: è l’argomento centrale di tutta la lettera, che pian piano l’autore ci illustrerà. Per ora si accenna solo all’argomento che sarà trattato nei versetti successivi: la morte e risurrezione di Gesù, in quanto Figlio, lo costituisce “migliore degli angeli” (è utile sottolineare questa parola “migliore”, che tornerà in modo significativo nella lettera e di cui diremo altro). In questo prologo l’autore della lettera ci ha presentato la figura di Gesù: al termine della rivelazione profetica egli è la parola definitiva di Dio, il Figlio, erede del futuro, nel passato mediatore della creazione e nel presente segno efficace della presenza di Dio con la sua persona stessa, con la sua parola che fa vivere ogni cosa, e con la sua opera è che il perdono dei peccati. La sua condizione è ora una partecipazione alla gloria divina, al di sopra della dignità angelica.