Collatio 26-7-2019

Giovanni 4,1-15

Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni» – sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli –, lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria.

Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

Gesù lascia la Giudea, dove ormai la notizia della fecondità del suo ministero e del suo battesimo ha raggiunto i farisei. Non è il caso di alimentare equivoci: la sua missione non è in competizione con Giovanni, né si basa sul numero dei discepoli. C’è un popolo da radunare, e per questo è necessario, andando in Galilea, passare per la Samaria: le vicende dolorose di questa terra l’hanno resa abitazione di un miscuglio di gente deportata, caratterizzata ormai da un culto sincretistico avversato dai capi religiosi di Gerusalemme, che ne hanno perfino fatto distruggere il luogo di culto. È da lì che Gesù vuole passare. È lì che al pozzo, dopo un viaggio faticoso, Gesù giunge in un luogo ricco di tradizione per Israele: quel pozzo stesso fu un “dono” di Giacobbe al figlio Giuseppe. Nonostante l’orario improbabile (le donne vanno al pozzo ad attingere acqua al mattino presto e alla sera) una donna si avvicina al pozzo, in una solitudine sottolineata anche dalla assenza dei discepoli, che sono andati in paese a prendere cibo. La scena ricorda tante altre scene bibliche di una donna e di un uomo al pozzo, scene di un incontro che è preludio di nozze: e infatti Gesù pone la fatidica domanda: “dammi da bere”. Ma qui la donna samaritana segna tutta la sua distanza da questo uomo giudeo: per come siamo distanti e avversi non dovresti neppure rivolgermi la parola! “Se tu conoscessi il dono di Dio”: Gesù le dice che non la disseterà il dono del pozzo che il padre Giacobbe fece a Giuseppe, ma solo il dono da parte di Dio di un’acqua viva (cioè di sorgente, non di pozzo…!), che lui stesso gli darà se solo lei lo riconoscesse e gliela chiedesse. La risposta ironica della donna sottolinea tutta l’impreparazione di quel giudeo stanco e assetato, e ai suoi occhi così presuntuoso, e gli dice che al di là delle parole grandi una cosa è certa: io e noi tutti qui, con questo pozzo del nostro padre Giacobbe, ci viviamo! Ed è qui che Gesù comincia a toccarla sul vivo: di generazione in generazione l’acqua di questo pozzo ha sì abbeverato, ma non ha davvero dissetato, ha permesso di continuare a vivere, ma non ha trasformato la vita. “L’acqua che io gli darò”, dice Gesù, non solo disseta davvero, ma diventa in lui stesso principio di una vita che continua a sgorgare dal di dentro, una vita che non finisce. Ora la donna, tra una stanca ironia e una speranza nuova che si accende, chiede il dono di quest’acqua, se davvero è in grado di interrompere la fatica senza fine di una vita incapace di trovare davvero ciò che la disseti. Sempre l’incontro con Gesù ci pone davanti questo passaggio: ci sono pozzi scavati dai padri, che hanno assicurato e ancora sono in grado di fornire vita, cultura, senso, luce, nutrimento, appartenenza. Ma questo non basta, non ci basta. Solo la relazione personale con Gesù, Figlio di Dio, può davvero dissetare, comunicare la pienezza della vita e della comunione con Dio. Non solo: bere da Lui significa essere ricolmati di una gioia che ci trasforma in sorgenti, la presenza del suo Spirito che canta in noi ci rende fonti inesauribili di bene e di luce per gli altri.

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