Collatio 11-11-2019

Giovanni 18,33-40

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?».

Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Dopo la prima scena fuori dal pretorio, le altre sei piccole scene si alternano in un andirivieni dentro-fuori attraverso il quale si consuma, in superficie, la condanna di Gesù, ma più in profondità non fa altro che manifestarsi, proprio nell’atto di essere condannato, la vera regalità di Gesù. Nei versetti di oggi lo spazio di privacy all’interno del pretorio (che, come vedevamo, si è creato per il rifiuto di entrare da parte dei sommi sacerdoti per non “contaminarsi”) permette l’incontro a tu per tu tra Gesù e Pilato; è l’ultimo dei dialoghi personali di Gesù prima della sua morte, e ricordiamo come altri dialoghi siano stati così importanti nel vangelo di Giovanni (per citarne solo alcuni: Nicodemo, la Samaritana, il cieco nato, Marta…). Anche qui, quel che li ha messi l’uno davanti all’altro è in fondo solo il corso apparentemente casuale degli eventi, ma ora per Pilato questa, da vicenda seccante come tante altre, diviene l’occasione del suo incontro decisivo. La domanda annoiata di Pilato (“sei tu il re dei Giudei?”) dà il via a un dialogo in cui Gesù lo interpella personalmente (“Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”), perché si sbilanci davanti alla sua persona e prenda posizione, mentre Pilato cerca di nascondersi dietro una dichiarazione di neutrale estraneità (“Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me…” ) e cercando di riprendersi il proprio ruolo e ributtare la palla (“… che cosa hai fatto?”). Gesù risponde, ma ancora una volta la posta in gioco si alza: il regno di cui Gesù parla ha un’altra origine, e un’altra logica. Non è un regno mondano, fondato sulla violenza e la capacità di sopraffazione, perché la sua regalità è la semplice, disarmata, irriducibile testimonianza della verità, per chiunque la voglia accogliere: sia qui e ora Pilato, che non è un giudeo, sia tutti coloro che, in ogni luogo e in ogni tempo, possono lasciarsi generare dalla verità e ascoltare la voce di Gesù che testimonia, con la sua vita offerta, l’amore del Padre. La domanda di Pilato (“che cos’è la verità?”) sembrerebbe lasciar aperto un varco nella relazione, alla quale però non lascia il tempo necessario: interrompe il dialogo ed esce verso i Giudei. Spera così di chiudere la faccenda, che si va facendo spinosa, evitando la domanda personale e dichiarando Gesù, come è ai suoi occhi, politicamente innocuo e moralmente innocente e proponendo una sentenza di grazia che possa accontentare tutti. Ma Pilato è in difficoltà, non sa far valere l’innocenza di Gesù, e i Giudei non esitano ad approfittarsene per ottenere quel che da tempo è stato già deciso; liberare Gesù? No! Piuttosto Barabba!

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