Collatio 28-11-2019

Giovanni 21,15-19

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?».

Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Siamo ormai davvero alla conclusione del vangelo. Dalla colazione mattutina con Gesù sulla spiaggia sta per scaturire una identità nuova per Pietro, e in lui per ogni discepolo. Come la pesca-missione era giunta a quella condivisione eucaristica di amore gratuito, così da quel pasto di vita eterna si apre un cammino nuovo riconciliato nell’amore per una sequela fino a dare la vita. C’è dunque una storia di rinnegamento che attende ancora di essere trasformata. Per tre volte, nel cortile del sommo sacerdote, Pietro aveva negato la sua relazione con Gesù (18,15-18.25-27), dopo aver assicurato che egli, a differenza degli altri, gli sarebbe rimasto fedele (cfr. Mt 26,33; Mc 14,29), che anzi avrebbe dato la vita per Lui (13,37). Per questo occorre tornare all’inizio della storia, quando Gesù aveva visto Simon Pietro per la prima volta, portato dal fratello Andrea, e gli aveva detto: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Cefa…” (1,42). Ora di nuovo Gesù si rivolge a lui allo stesso modo: “Simone figlio di Giovanni…” come a ricapitolare tutto, ma ora con una sola domanda: “mi ami?”. Anzi, la prima volta, sottolineando anche ironicamente la superiorità sugli altri che Pietro aveva preteso di avere, Gesù chiede: “mi ami più di costoro?”. Pietro non ha dubbi: “sì Signore! tu lo sai che ti voglio bene!”. E sarà su questa professione di amore che Pietro potrà essere pastore delle pecore di Gesù, così come, secondo il vangelo di Matteo, era stata la professione di fede di Pietro a valergli l’esclamazione di Gesù: “Beato sei tu Simone, figlio di Giona (= Giovanni)… E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,17-18). Ma qui la domanda di Gesù scava ancora: “Simone figlio di Giovanni, mi ami?”. Pietro deve scendere ancora un po’, verificare la sincerità del suo cuore: “sì, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Si affida alla conoscenza che Gesù stesso ha del suo cuore: sa di amarlo con tutto se stesso. La terza volta la domanda di Gesù non può che suscitare in Pietro la memoria del suo rinnegamento, e quindi la consapevolezza di una debolezza che aveva negato: “Signore perché non posso seguirti ora? darà la mia vita per te!” (13,37); forse era stato proprio “rinnegando” la sua fragilità, che Pietro aveva messo le premesse al suo rinnegamento di Gesù: “Darai le tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte” (13,38). E ora queste “tre volte” ritornano, come in una dolorosa purificazione di amore: “Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: mi vuoi bene?”. Anzi potremmo dire che è proprio questa la caratteristica cristiana del dolore del pentimento: essere un dolore che sorge dentro una relazione di amore. Una relazione in cui ci sentiamo amati e conosciuti in tutto, anche al di là del nostro stesso cuore, e nella quale abbiamo imparato ad amare: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Dirà Giovanni nella sua prima lettera: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,18-20). Pietro, con il dolore di quella “terza domanda”, non solo ha fatto i conti con il suo peccato e il suo rinnegamento, ma con la strada del vero pastore che fa del dolore un’offerta di sé: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (10,11). Ora Pietro è pronto per portare a termine la sua sequela di Gesù. Anzi è così che vivrà fino in fondo anche il suo compito di pascere: trasformando in amore e in donazione di sé il dolore. La forza della sua iniziativa aveva trascinato dietro sé gli altri discepoli nell’avventura della pesca notturna e dopo aver ascoltato l’annuncio del discepolo amato (“È il Signore!”) si era cinto le vesti e si era gettato in mare verso Gesù, indicando la direzione a tutti: “quando eri più giovane ti cingevi le vesti da solo e andavi dove volevi..” Ma non sarà così che Pietro porterà a compimento il suo servizio di pascere le pecore di Gesù e la sua stessa sequela: sarà dando anch’egli la vita, come il suo Signore: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà le vesti e ti porterà dove tu non vuoi”; nel martirio Pietro farà della sua debolezza, per amore, una glorificazione di Dio: “Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio”. Nell’ultima sera, a Pietro che gli aveva domandato “dove vai?” Gesù aveva risposto: “Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (13,36). Ora che Pietro ha accolto il dolore, e quindi la sua stessa debolezza, nell’amore, Gesù può dirgli l’ultimo “Seguimi!”.