Isaia 48,12-15
Ascoltami, Giacobbe,
Israele che ho chiamato.
Sono io, io solo, il primo
e anche l’ultimo.
Sì, la mia mano ha posto le fondamenta della terra,
la mia destra ha disteso i cieli.
Quando io li chiamo,
tutti insieme si presentano.
Radunatevi, tutti voi, e ascoltatemi.
Chi di essi ha predetto tali cose?
Colui che il Signore predilige compirà il suo volere
su Babilonia e, con il suo braccio, sui Caldei.
Io, io ho parlato; io l’ho chiamato,
l’ho fatto venire e ho dato successo alle sue imprese.
Un comando, un invito, una supplica: “Ascoltami!”. Israele è il popolo che ritrova se stesso ricominciando sempre da qui: porgere l’orecchio ancora una volta alla parola che Dio gli rivolge. E in questo modo essere “tratto fuori”, come Abramo e Mosè, da se stesso, dal luogo vecchio delle sue schiavitù, delle sue rappresentazioni, delle sue convinzioni, delle sue abitudini, da tutto ciò che pian piano, giorno dopo giorno, appanna, rende duro, insensibile, assuefatto il cuore. La parola rivolta, l’invito ad ascoltare, è sempre una “chiamata” che contrasta ogni ripiegamento, che ci pone davanti al Signore riconoscendo in Lui la nostra origine e il nostro destino: “Ascoltami, Giacobbe, Israele che ho chiamato. Sono io, io solo, il primo e anche l’ultimo”. E non solo Israele (e noi), ma ogni cosa viene da Lui e va a Lui: anche la terra e i cieli sono “chiamati” da Dio all’esistenza per un compito da Lui stabilito, e a Lui rispondono prontamente: “Sì, la mia mano ha posto le fondamenta della terra, la mia destra ha disteso i cieli. Quando io li chiamo, tutti insieme si presentano”. La creazione è tutta un inno al Signore, nella perfetta corrispondenza al suo volere! E se Israele si lascia radunare e ascolta, può riconoscere, attraverso quella parola che il Signore gli ha donato, questo stesso segreto “vocazionale” di ogni cosa non solo nella creazione, ma anche nella storia! Anche il re persiano Ciro, che non conosce il Signore, è chiamato da Lui a svolgere un compito ben preciso nella storia: “Io, io ho parlato; io l’ho chiamato, l’ho fatto venire e ho dato successo alle sue imprese”. Non solo; egli in questo modo, non è solo uno strumento nelle mani di Dio, ma un suo “prediletto”, come Israele è solito sentire dire di sé: “Colui che il Signore predilige compirà il suo volere su Babilonia e, con il suo braccio, sui Caldei”!. Israele, dunque, non è il solo prediletto del Signore (cfr. il tema della gelosia… Rm 11,11-15), ma è invitato ad ascoltare e a corrispondere alla propria chiamata alzando lo sguardo e riconoscendo la chiamata fondamentale inscritta nella creazione e la chiamata personale di tanti altri soggetti dentro la storia (come notate, il verbo “chiamare” è usato tre volte: per Israele, poi per la terra e i cieli e infine per Ciro). Non comprendiamo né possiamo rispondere alla nostra chiamata nel mondo e nella storia guardando solo a noi stessi, ma lasciandoci decentrare e allargare gli orizzonti dalla parola di Dio; ci fa tanto bene vedere la bellezza di una creazione corrispondente alla volontà di Dio, e la meraviglia di tanti uomini e donne che, senza saperlo, fanno la sua volontà adempiendo con passione, competenza, rigore e amore il loro servizio nel mondo. Fa bene a noi e alla qualità della risposta alla nostra vocazione (personale ed ecclesiale), che è sempre e solo una parte del tutto, una voce in una sinfonia molto più ampia di cui solo il Signore è sapiente direttore.