Isaia 51,9-11
Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza,
o braccio del Signore.
Svégliati come nei giorni antichi,
come tra le generazioni passate.
Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab,
che hai trafitto il drago?
Non sei tu che hai prosciugato il mare,
le acque del grande abisso,
e hai fatto delle profondità del mare una strada,
perché vi passassero i redenti?
Ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con esultanza;
felicità perenne sarà sul loro capo,
giubilo e felicità li seguiranno,
svaniranno afflizioni e sospiri.
Il lamento-provocazione con cui il profeta pensa di poter destare dal sonno un Dio addormentato, che sembra non curarsi delle vicende dolorose del suo popolo, può suscitare qualche imbarazzo nel nostro compassato immaginario religioso, ma per la bibbia i toni di questa preghiera pressante (come tante volte fanno i salmi, cfr. p.es. Sal 44,25) hanno come sfondo credente il senso vivo della relazione con Dio come parte di una alleanza: il Signore interviene nella storia liberamente, ma al tempo stesso all’interno di un patto con il suo popolo. Come tutto comincia perché il Signore chiama e qualcuno risponde con la sua fede, così anche il Signore “è chiamato”, dalla supplica del suo popolo (anche semplicemente dal suo grido di sofferenza, cfr. Es 3,7-8), e risponde venendo in aiuto. E’ come se si dicesse che il Signore sceglie di “limitare” il proprio potere di intervento all’interno di una alleanza nella quale attende di essere chiamato (“chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”, Lc 11,9), come se, in “dormiveglia”, attendesse e sperasse di essere cercato e svegliato dalla preghiera del suo popolo, che finalmente si rivolge a lui. E per fare questo il popolo, attraverso la “rappresentanza” del profeta, da’ prova di ricordare, e quindi di non essere addormentato, di non aver dimenticato la storia di salvezza, di conoscere per esperienza antica e assodata l’indole, il modo di agire del Signore. Ogni volta che il popolo di Dio fa la sua “professione di fede”, non fa altro che ricordare l’opera di salvezza e di liberazione di Dio perché ancora una volta, oggi qui, si rinnovi. I “giorni antichi” e “le generazioni passate” sono lì a testimoniare che il Signore può anche ora, in questi nostri giorni, riaprirci una strada. Egli è Colui che ha creato ogni cosa ponendo un limite al caos primordiale (come un drago, Raab, da sconfiggere), arginando il mare perché emergesse la terra asciutta e abitabile (Gen 1,2.9-10); egli è Colui che ha rinnovato questa vittoria sul male e sull’ingiustizia di nuovo asciugando il mare davanti a Israele in fuga dalla terra di schiavitù e rendendo “percorribile” le profondità degli abissi; egli è Colui che anche ora può riaprire una strada “impossibile” che faccia passare dall’afflizione alla gioia, perché il popolo, riscattato, possa ritornare a casa. Creazione, liberazione, ritorno: dall’inizio alla fine il Signore opera salvezza (dal caos, dalla schiavitù, dall’esilio), mentre il popolo credente impara a rivolgersi confidente a Lui, anche con la sfacciataggine della sua preghiera (ricordi l’amico “sfacciato” di Lc 11,5-13 e la vedova “molesta” di Lc 18,1-11?), del suo grido, della sua sempre resistente speranza.