Isaia 53,11-12
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha spogliato se stesso fino alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i colpevoli.
All’inizio di questo quarto e ultimo “canto del servo del Signore” (52,13-15) avevamo sentito risuonare la voce di Dio (“ecco il mio servo avrà successo…”) che prospettava l’innalzamento di colui per il quale molti, a motivo della sua deformante umiliazione (“si stupirono di lui tanto era sfigurato…”), erano rimasti sconcertati. E ora, al termine dell’oracolo, torna la voce di Dio, dopo la lunga confessione della comunità colpevole e che ha riconosciuto di aver scaricato sul servo innocente la sua violenza fino a farlo morire e di aver in cambio da lui ricevuto, per volontà di Dio, guarigione e salvezza a motivo del suo mite abbandono e dell’offerta della sua vita per i peccati del popolo. Una vicenda così misteriosa e grande da costituire una promessa di vita e di posterità. Ecco ora, appunto, Dio stesso riprende la parola, non solo per confermare che la morte del servo non sarà l’ultima parola, ma anche per indicare, proprio a partire “dal suo intimo tormento”, il frutto di una luce, di una conoscenza nuova per il servo. Il suo viaggio innocente e mite negli abissi dell’umana violenza fino a dare la vita è per il servo come lo spalancarsi di una verità più profonda, ultima sul mistero della storia, dell’uomo e di Dio stesso. Una luce e una conoscenza così radicale da toccare un punto che riguarda non solo la “comunità colpevole” che lo ha messo e morte e che ora lo confessa, ma i “molti”, cioè tutti gli uomini. Dio assume la vicenda del servo, personaggio storicamente avvolto nel mistero, per mostrarne non solo il significato “universale”, ma anche l’efficacia di una salvezza senza confini. Il suo essere, innocente, “annoverato fra gli empi” e aver “versato la vita fino alla morte” (così letteralmente) lo pone in una tale vicinanza “pura” e bruciante con il peccato da divenire annuncio di salvezza e intercessione per i molti (di cui si era detto che “si stupirono” in 52,14): “egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”. Nell’ascolto “cristiano” di questo brano, contempliamo la vicenda del servo giungere ad un “livello” così essenziale di assunzione del peccato per la salvezza, da leggervi in trasparenza il mistero stesso di Gesù, e quindi, in lui, di ogni “innocente sacrificato”.