Isaia 63,7-14
Voglio ricordare i benefici del Signore,
le glorie del Signore,
quanto egli ha fatto per noi.
Egli è grande in bontà per la casa d’Israele.
Egli ci trattò secondo la sua misericordia,
secondo la grandezza della sua grazia.
Disse: «Certo, essi sono il mio popolo,
figli che non deluderanno»,
e fu per loro un salvatore
in tutte le loro tribolazioni.
Non un inviato né un angelo,
ma egli stesso li ha salvati;
con amore e compassione li ha riscattati,
li ha sollevati e portati su di sé,
tutti i giorni del passato.
Ma essi si ribellarono
e contristarono il suo santo spirito.
Egli perciò divenne loro nemico
e mosse loro guerra.
Allora si ricordarono dei giorni antichi,
di Mosè suo servo.
Dov’è colui che lo fece salire dal mare
con il pastore del suo gregge?
Dov’è colui che gli pose nell’intimo
il suo santo spirito,
colui che fece camminare alla destra di Mosè
il suo braccio glorioso,
che divise le acque davanti a loro
acquistandosi un nome eterno,
colui che li fece avanzare tra i flutti
come un cavallo nella steppa?
Non inciamparono,
come armento che scende per la valle:
lo spirito del Signore li guidava al riposo.
Così tu conducesti il tuo popolo,
per acquistarti un nome glorioso.
Con questi versetti comincia una grande preghiera di supplica che ci accompagnerà fino alla fine del capitolo 64. Il popolo, che al capitolo 59 aveva riconosciuto che la sua condizione miserevole era il frutto del suo peccato e della sua violenza, ora, dopo aver ricevuto la conferma delle promesse di Dio, come anche la rappresentazione terribile del suo giusto giudizio, si rivolge a lui implorando misericordia e salvezza. Come spesso accade nei salmi, anche qui la supplica è preceduta dalla memoria dei prodigi passati, con cui il Signore ha già manifestato il suo amore per il popolo. È in forza di questo ricordo che ora è possibile rivolgersi, ancora una volta, al Signore; la richiesta di un intervento di Dio non sarà un giro di roulette, un gesto scaramantico, o un tentativo magico di piegare la volontà degli dèi, ma l’appello ad una relazione di alleanza, che viene celebrata “facendo memoria”. Per questo a fondamento di ogni supplica c’è la certezza incondizionata della fedeltà di Dio, “quanto egli ha fatto per noi”, la sua grande bontà, come egli “ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia”. Il patto fra Dio e Israele è ricordato esplicitamente: “certo, essi sono mio popolo, figli che non deluderanno”; ed è per questo che, durante tutta la loro storia, li soccorse nelle loro tribolazioni, impegnandosi lui stesso personalmente (cfr. vv. 3 e 5!), non attraverso un incaricato, a salvarli, riscattarli, sollevarli e portarli su di sé “con amore e compassione”. Certo, l’esperienza della ribellione del popolo, del rifiuto sprezzante dell’amore di Dio (cfr. Ef 4,30!), ha fatto sì che Israele conoscesse anche il volto “nemico” del Signore e il suo castigo. Ma neppure questa esperienza di smentita, di profanazione dell’alleanza da parte del popolo non ha potuto spezzare inesorabilmente il patto con Dio e fermare sua potenza di salvezza. Per questo ora è importante tornare con la memoria grata a quell’esperienza fondamentale di liberazione dalla schiavitù di Egitto, che può sempre rinnovarsi nella storia dolorosa del popolo di Dio. Ricordare e celebrare è rinnovare a se stessi e al Signore la memoria di una storia di salvezza che per compiersi deve ora realizzarsi nuovamente. Se il Signore è Dio, ed è lo stesso che fece salire dal mare Mosè, che pose in lui il suo santo spirito, che lo accompagnò con il suo braccio glorioso, che aprì le acque davanti a loro… dov’è ora? Il Signore Dio liberando Israele e aprendo una strada nel mare ha rivelato la sua autorità sulla creazione, come già dal principio aveva separato le acque (Gen 1,6), e dominato sugli abissi (Gen 1,2). E già da allora aveva mostrato che il fine di tutta la sua fatica nel mondo, anzi la ragione stessa della creazione, è introdurre l’umanità nella sua libertà (come un cavallo che corre senza inciampi in aperta campagna) e nella sua pace (come un gregge di pecore che scende nella valle per trovare pascolo e sicurezza). Che ne è allora di quel “nome” che a motivo dei suoi grandi prodigi a favore di Israele il Signore aveva fatto conoscere alle nazioni in attesa, e che ora invece, davanti allo spettacolo di un popolo indegno e miserevole, è schernito e umiliato? Non c’è forse un popolo condotto da Dio dentro la storia, attraverso il quale tutti possano riconoscere il suo volto, il suo nome santo, il suo amore misericordioso, speranza di ogni uomo?