Collatio 1-4-2020

Isaia 66,1-4

Così dice il Signore:
«Il cielo è il mio trono,
la terra lo sgabello dei miei piedi.
Quale casa mi potreste costruire?
In quale luogo potrei fissare la dimora?

Tutte queste cose ha fatto la mia mano
ed esse sono mie – oracolo del Signore.
Su chi volgerò lo sguardo?
Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito
e su chi trema alla mia parola.

Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo,
uno immola una pecora e poi strozza un cane,
uno presenta un’offerta e poi sangue di porco,
uno brucia incenso e poi venera l’iniquità.
Costoro hanno scelto le loro vie,
essi si dilettano dei loro abomini;

anch’io sceglierò la loro sventura
e farò piombare su di loro ciò che temono,
perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto,
avevo parlato e nessuno ha udito.
Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi,
ciò che non gradisco hanno scelto».

Ancora il Signore ci rivolge una parola, polemica e liberante allo stesso tempo. Davanti alla pretesa di racchiudere Dio all’interno delle nostre istituzioni e riti, per tentare di costruire una nostra immagine di giustizia davanti a Lui (o a noi stessi?) e assicurarcene il favore in cambio delle nostre offerte e sacrifici, il Signore ci risponde con lineare semplicità, anzi con il sarcasmo di chi mostra quel che di elementare era stato dimenticato: non esiste alcuna umana costruzione, né materiale né culturale né religiosa, che possa contenere, possedere, esaurire il mistero di Dio, creatore dell’universo e Signore della storia. Non c’è nulla che possiamo offrirgli che non provenga da Lui e che egli già non possieda. Non c’è modo di ingraziarci la sua sovrana volontà facendo mostra dei nostri sacrifici e continuando a vivere secondo la dinamica vecchia della nostra violenza e iniquità. L’unica cosa che attira il suo sguardo non sono certo le cose che possiamo dare a Lui, ma l’accoglienza umile e contrita della sua parola. Egli non aspetta le nostre offerte, ma la nostra conversione, che consiste prima di tutto nel ricordarci di ciò che siamo davanti a Lui (humus, terra), del nostro limite e della nostra fragilità, di come sia stolto innalzarci sugli altri, pensare di essere padroni della nostra vita e della terra, agire con violenza; conversione che consiste nel “tremare alla sua parola”, cioè nel riceverla come la parola che giudica e salva la nostra vita, che la strappa dalla vanità e dall’inconsistenza e la rende autentica. “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola”. L’alternativa a questo “santo tremore” davanti alla sua parola è cadere nelle vuote paure del mondo, e rimanerne imprigionati: “Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini; anch’io sceglierò la loro sventura e farò piombare su di loro ciò che temono, perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito”. Il tempo della nostra vita, questi giorni, oggi: è questa l’occasione per ascoltare, non ne abbiamo altre. Perderla significherà perdere noi stessi.

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