Atti 9,19b-25
Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, e subito nelle sinagoghe annunciava che Gesù è il Figlio di Dio.
E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Non è lui che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocavano questo nome ed era venuto qui precisamente per condurli in catene ai capi dei sacerdoti?».
Saulo frattanto si rinfrancava sempre di più e gettava confusione tra i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo.
Trascorsero così parecchi giorni e i Giudei deliberarono di ucciderlo, ma Saulo venne a conoscenza dei loro piani. Per riuscire a eliminarlo essi sorvegliavano anche le porte della città, giorno e notte; ma i suoi discepoli, di notte, lo presero e lo fecero scendere lungo le mura, calandolo giù in una cesta.
La condivisione con i discepoli divenuti fratelli rinvigorisce Saulo; la ferita profonda che la rivelazione di Gesù vivente ha improvvisamente inferto alle sicurezze religiose di Saulo va rimarginandosi nell’accoglienza fraterna. Nel giro di pochi giorni egli si sente già pronto e desideroso di testimoniare a sua volta Gesù Figlio di Dio, proprio in quelle sinagoghe dove aveva voluto farsi inviare dal sommo sacerdote per scovare i discepoli e arginare la predicazione del Nome. Chi lo ascolta si meraviglia per questo repentino e inspiegabile ribaltamento delle sue convinzioni; Saulo si getta con tutto se stesso in questa nuova “battaglia alla rovescia”, e la sua predicazione così appassionata e competente delle Scritture genera sconcerto e allarme: “si rinfrancava sempre più… gettava confusione fra i Giudei… dimostrando che Gesù è il Cristo”. La cosa non può durare. I Giudei maturano la decisione di eliminarlo: il fuoco che Saulo ha dentro sta diventando troppo pericoloso. Sono i discepoli ad organizzare una rocambolesca fuga notturna, con Saulo calato in una cesta dalle mura. Il testimone di Gesù, pieno di nuovo zelo, sperimenta da subito quella promessa del “molto soffrire” che era stata confidata ad Anania dal Signore stesso. Eppure, ascoltando meglio tra le righe, c’è anche qualcos’altro. L’umiliante fuga cui Saulo è costretto (e che rimarrà ben impresso nella sua memoria: 2Cor 11,32-33!) non sembra esattamente un suo proposito: sono i discepoli a “prenderlo” e a calarlo giù, forse non solo per salvarlo (certamente), ma anche un po’ per sbarazzarsene, lasciandolo lì, nella notte, fuori dalla città… Saulo non è il primo discepolo in Damasco: prima di lui Anania e altri (tutti ovviamente “Giudei”) avevano condiviso la sinagoga con i loro fratelli Israeliti, e certamente la loro testimonianza si era fatta sentire (tanto da provocare l’intervento, appunto, del zelante Saulo), ma non c’era stata ancora una reazione così violenta. Saulo, che era venuto per incatenarli e portarli a Gerusalemme, ora, paradossalmente, li metteva in pericolo con la sua predicazione appassionata e con le sue dimostrazioni, sollevando un polverone, con una foga che si era rivelata, alla lunga, più che inopportuna. Insomma: forse la comunità dei fratelli di Damasco non era pronta a tutto questo, ma sicuramente anche Saulo è ancora “acerbo”, non certo per mancanza di preparazione (era un super-dottore nelle Scritture), ma per mancanza di sufficiente “decantazione” in uno spirito più umile e purificato. C’è ancora tanto “Saulo” in questo Paolo, che passa così velocemente da essere leader della difesa del Giudaismo a presentarsi come punta di diamante della predicazione di Gesù come il Cristo. Deve passare ancora molta acqua sotto i ponti prima che possa dire, davvero, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20) e per non confondere la sua forza, con quella del Signore, che si manifesta come grazia nella sua debolezza (2Cor 11,9). Vedremo nei prossimi versetti come questa “immaturità” si confermerà in modo decisivo a Gerusalemme, e come da lì Paolo dovrà passare un lungo tempo “in panchina” prima di essere di nuovo rimesso in gioco.