Collatio 18-6-2020

Atti 15,13-21

Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome.

Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta; ne riedificherò le rovine e la rialzerò,
perché cerchino il Signore anche gli altri uomini e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa queste cose, note da sempre.

Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».

Ora, dopo il racconto di Barnaba e Paolo, è il momento di Giacomo, la guida della chiesa di Gerusalemme, portavoce della parte giudeo-cristiana, particolarmente preoccupata per un ingresso indiscriminato dei gentili. Il suo intervento ovviamente è cruciale perché sia trovata una soluzione percorribile e condivisa nella chiesa, che metta pace e dia prospettive. “Fratelli, ascoltate”, così esordisce Giacomo; sì c’è una parola da ascoltare, la voce di chi deve confermare o meno la linea che è stata espressa da Pietro e che l’esperienza della missione fuori da Israele ha rappresentato. Per prima cosa infatti Giacomo fa riferimento alle parole di Simon Pietro, anche se in modo un po’ sibillino… questo “popolo che Dio fin da principio ha scelto dalle genti per il suo nome” è Israele (ma Simone non na ha fatto parola!) o piuttosto il popolo dei nuovi credenti in Gesù? Forse non è un caso che Giacomo faccia un discorso effettivamente un po’ “confuso”… sta cercando di creare un po’ di “spazio” all’interno delle cose dette da Pietro in modo che anche i discepoli farisei (e in generale tutti coloro che si sentono in difficoltà nel condividere la sequela di Gesù con quanti non entrano nella via di Israele attraverso la circoncisione e l’osservanza di tutte le norme della Legge) possano sentirsi capiti. Quindi sì, forse qualcuno intenderà che Giacomo parli della elezione di Israele… e qualcuno dei gentili convertiti. E così la citazione di Amos (significativamente tratta dalla versione greca, che invece che parlare, come l’originale ebraico, della conquista di Edom da parte di un Israele riedificato, fa riferimento alla ricerca del Signore da parte di “altri uomini”…), che può essere intesa sia come profezia del “ristabilimento” promesso per Israele, sia come rimando a quella riedificazione della “tenda di Davide caduta” che è la Pasqua di Gesù, la sua morte e risurrezione, come centro di attrazione per tutti (cfr. Gv 12,32!) gli uomini e tutte le genti “sulle quali è stato invocato il mio nome”. Giacomo insomma cerca di far passare l’apertura ai pagani, peraltro ricordando che “queste cose” che Dio sta operando sono “note da sempre”, alla sensibilità del gruppo più irrigidito dei giudei, parlando il loro linguaggio, che è anche il suo. La conclusione è chiara, e conforme all’intervento di Pietro: “io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio”; i gentili possono entrare a far parte della comunità dei discepoli semplicemente aderendo al Vangelo di Gesù senza doversi sottoporre alla circoncisione e alla osservanza di tutte le norme cultuali e di purificazione di Israele. Ma… c’è un “ma”! Non basta qui affermare il principio, o discernere la direzione dello Spirito. Occorre trovare un modo per “coabitare” tra ebrei e gentili nella chiesa! La fede in Gesù non è una avventura individualistica in cui vige semplicemente il rispetto per la reciproca diversità: si tratta di “vivere insieme”, di appartenere alla stessa casa, allo stesso popolo, un popolo “nuovo” fatto sia di discepoli ebrei che di altri provenienti dalle nazioni. E questa ospitalità così generosa della comunità giudeo-cristiana nei confronti dei credenti “gentili” ha un costo (che noi ci dimentichiamo!), implica la dolorosa accettazione di una serie di prassi, da parte dei nuovi arrivati, fino al giorno prima impensabili. Per questo Giacomo chiede il rispetto minimo, da parte dei gentili, di alcune regole davvero insuperabili per la sensibilità ebraica, la cui trasgressione (normalissima in ambito pagano) rappresenterebbe un ostacolo insormontabile, un orrore viscerale e indigeribile, che impedirebbe qualsiasi condivisione: non mangiare delle carni immolate agli idoli, non sposarsi tra consanguinei, non mangiare carne di animali soffocati né il loro sangue. In questo Giacomo sembra suggerire che la diaspora ha reso la conoscenza di queste norme fondamentali diffusa un po’ ovunque… insomma: i pagani sanno bene come irritare gli ebrei con le loro abitudini o piuttosto come averne rispetto! In pratica Giacomo chiede poche semplici norme (evidentemente caduche, cambiando i tempi e i contesti…) che rappresentino un segno di attenzione e di rispetto da parte dei pagani verso i discepoli ebrei, e permettano così una reciproca frequentazione, nella carità e nel riconoscimento reciproco. Luca ci tiene a mostrare i passaggi di questo che chiamiamo “concilio di Gerusalemme”, per proporli come metodo ecclesiale per affrontare i problemi e le sfide che sorgono nel cammino della missione: dare voce ai problemi, alle sofferenze e alle divergenze, senza aver paura di attraversare il conflitto; partire da ciò che Dio opera nell’esperienza concreta della missione cercando luce nelle Scritture; contemperare la luce di una verità che libera e va oltre le apparenze e le appartenenze, con le esigenze di una carità che ci lega agli altri in una comunione che per essere reale deve trovare forme concrete di “abitabilità” per tutte le diversità. L’avventura del Vangelo è appassionante e delicata, spinge verso tutti con coraggio e libertà, ma anche costringe a ritornare a guardarsi negli occhi per non rischiare di correre invano, ciascuno da solo, con il proprio pezzetto di verità assolutizzata e scagliata sugli altri.

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