Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui.
Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì.
Da lungo il mare, dove una grande folla era corsa a lui, Gesù sale sul monte. Abbiamo visto già più volte questo movimento di immersione e di ritiro (a partire da 1,12, e poi 1,35 e 1,45), ma questa volta chiama con sé, in questo spazio di solitudine e intimità, “quelli che voleva”. C’è un atto di signoria, di autorità di Gesù al quale corrisponde una libera e semplice adesione: “essi andarono da lui”. Gesù chiamando i primi discepoli aveva da subito detto loro “vi farò diventare pescatori di uomini…” (1,17) e ora, dinanzi a questa folla che viene da ogni parte, Gesù coinvolge alcuni discepoli perché condividano con lui la sua missione. Dice il testo che “li fece dodici”, come le dodici tribù di Israele: in loro tutti sono invitati a stare con Lui e attraverso di loro a tutti è rivolta la potenza liberante del suo vangelo. Gesù lo ha già mostrato: malati, indemoniati, ma anche pubblicani e peccatori. Gesù non sta costruendo una comunità di puri (come a Qumran o gli Esseni) o di privilegiati. Il suo vangelo è per tutti, ma tutti sono chiamati alla conversione, a cambiare vita, a lasciarsi liberare dalla presenza del demonio. Questi dodici dovranno imparare la doppia appartenenza che li farà “stare” e “andare”: unirsi sempre più intimamente a Gesù e lasciarsi inviare a tutti con la sua stessa autorità. I Dodici sono nominati uno ad uno; ce ne sono di conosciuti, di sconosciuti, ci sono alcuni cui è dato da Gesù anche un soprannome, ma non manca il terribile finale (“Giuda, il quale poi lo tradì”): non solo il fallimento della sequela è possibile in questo spazio così intimo, ma stare con Gesù significa partecipare anche al suo destino tragico. Ascoltiamo il commento di Standaert: “I paradossi non mancano nell’evocazione di questo momento così decisivo. Gesù sceglie liberamente quelli che vuole ed essi vanno da lui senza alcuna resistenza. Grande e sorprendente autorità, grande e sorprendente libertà di acconsentire. Si è destinati sia alla vicinanza intima, In disparte da tutti, sia all’invio sovraesposto a tutti senza distinzione. Due facce di un’unica medaglia: niente invio senza ritiro e senza esperienza dell’intimità, ma anche niente ritiro se non per rendere la missione ancora più libera e forte. Poi, nell’ultimo tratto, il tragico che permane. Lo stesso Gesù, nella sua sovrana autorità, può essere contrastato, tradito, consegnato da uno dei suoi. Totale è la vulnerabilità che rimane anche in colui nel quale si riconosce un ascendente così forte. Che cosa diventerò al seguito di un tale maestro? Roccia, Figlio del tuono? …o traditore che lo consegna?”.