Collatio Marco 8,22-26

Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?».

Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

Eccoci finalmente a Betsaida, che fin da 6,45 era stata la destinazione verso la quale Gesù aveva spinto i suoi discepoli: essi erano apparsi da subito impreparati al compito, “perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito” (6,52). Il lungo peregrinare fin qui aveva fatto emergere in modo drammatico la loro totale incapacità a comprendere: “Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” (8,17-18). Al centro di questo percorso Gesù aveva affidato proprio a discepoli (ancora una volta denunciando la loro incomprensione, cfr. 7,18) un insegnamento sul cuore e su come sia esso la sorgente vera di ogni impurità (7,17-23). Ora è definitivamente manifesta l’impossibilità del cuore dei discepoli (duro perché impuro?) a comprendere: i loro occhi non sanno vedere! Ed è proprio ora, quando tutto sembra impossibile, che la luce è donata: a Betsaida per opera di Gesù un cieco comincia a vedere, e subito dopo Pietro confesserà a Gesù: “Tu sei il Cristo” (8,29). Dunque anche gli occhi dei discepoli vengono aperti e resi capaci di riconoscere chi è davvero Gesù! Ma già in questo episodio del cieco scopriamo il “come”. Per prima cosa il cieco viene preso per mano da Gesù e condotto fuori dal villaggio. Come il sordomuto che era stato portato “in disparte, lontano dalla folla” (7,33), così anche questo cieco deve essere tratto fuori dal senso comune, dall’orizzonte stretto del suo villaggio: non si può cominciare a vedere davvero se non ci si lascia separare, portare via, liberare dallo schermo dell’ovvio, da quello che dice e che pensa la gente; così sarà subito dopo per i discepoli… “La gente, chi dice che io sia?… Ma voi, chi dite che io sia?” (8,27.29). Anche qui (come era stato per il sordomuto) il contatto di Gesù con il cieco è intimo e compromettente: Egli non teme di entrare nello spazio personale di quell’uomo, nel suo buio, di identificarsi con lui, condividendo uno spazio corporeo e spirituale di fede, di possibilità inedita, di apertura, di creazione nuova nel pieno abbandono e nella incrollabile fiducia nella potenza di Dio. Ma qui, sorprendentemente, il miracolo avviene in “due tappe”, attraverso due successive imposizioni delle mani. Sembra di sentire tutta la fatica che questa volta l’apertura degli occhi contiene: è la fatica di quel cammino che i discepoli stessi stanno vivendo, in un processo di illuminazione che si dispiega lentamente, non si compie tutto d’un colpo. La prima tappa è una visione statica. Qui è importante tradurre correttamente il testo: “guardo uomini che camminano, ma li vedo come alberi”. Dal punto di vista ottico non ha un gran senso… probabilmente la traduzione italiana cerca di rendere invece la sensazione di cogliere un movimento, ma senza essere in grado di percepire i dettagli (“come alberi che camminano”). Ma qui è proprio il contrario quello che dice il cieco al principio della sua guarigione: la sua visione è una specie di “fermo immagine” che non riesce a cogliere il movimento, perché lo blocca in qualcosa di fisso, “come alberi”. Sarà proprio quello che capiterà a Pietro subito dopo: la sua professione di fede (“Tui sei il Cristo!”) è una fotografia corretta, ma sarà necessario mettersi in movimento, seguirlo sulla via della croce, per vedere bene e non rimanere ingannati dalla “formulazione”, da una dottrina senza vita e senza croce! C’è bisogno dunque di una seconda imposizione delle mani, come per Pietro e i discepoli ci sarà bisogno di una nuova lunga istruzione “sulla via”, per comprendere, ancora una volta attraverso il loro totale fallimento, il senso della vera identità di Gesù. Il cieco dopo la seconda imposizione delle mani “vide chiaro e fu guarito e vedeva tutto distintamente, da lontano”: l’espressione intraducibile finale (“distintamente da lontano”) vuole rendere quel momento dell’aurore nel quale la luce pian piano sembra stendersi su ogni cosa e permette uno sguardo sempre più chiaro e in grado di vedere lontano. Ecco lo sguardo donato dalla luce di Dio: ogni cosa si illumina ed emerge nella sua bellezza. È la luce della fede e della conoscenza di Gesù, che è al tempo stesso l’obiettivo di un grande impegno e costanza da parte dei discepoli e un puro dono di Dio, che solo apre gli occhi ai ciechi. Ora anche il nostro cieco di Betsaida deve tornare a casa (“lo rimandò a casa sua…”), ma, paradossalmente, senza entrare nel villaggio! Perché dovrà tornare, senza però più rinunciare a quella luce che gli è stata donata, luce che ha fatto di lui una persona nuova: dovrà tenersi lontano dalla tenebra del “si dice” della gente!

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