Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro.
Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
Ecco che qualcosa si spezza nel provvisorio equilibrio che ancora trattiene la violenza dei capi nei confronti di Gesù: finora la sua presenza a Gerusalemme nel tempio era stata protetta dalla presenza della folla a lui favorevole, mentre la sera si ritirava a Betania per rimanere nascosto, durante la notte, nello spazio sicuro dell’intimità della casa. Ora, con il tradimento di Giuda, questo diaframma è infranto: il dramma sta per precipitare. Dal luogo intimo della cerchia dei Dodici, misteriosamente, senza alcun tentativo di spiegazione da parte del narratore, uno di loro decide di mettersi dalla parte di coloro che vogliono la morte di Gesù. Non ci sarà più un luogo sicuro per Lui. Giuda esce (tradotto con “si recò”) dal luogo del dono in piena perdita della donna, per consegnare il maestro con la promessa di ricevere del denaro. Ora è lui a cercare i momento opportuno perché si realizzi il progetto di morte dei capi. Eppure questo non è il corso principale degli eventi. È Gesù stesso a dirigere quel che accade. Ai discepoli stessi che gli chiedono come comportarsi per la celebrazione della cena pasquale, Gesù risponde mostrando come tutto è già stato predisposto. È il primo giorno degli Azzimi (il giorno dopo la cena di Betania), quando vengono immolati gli agnelli nel tempio perché poi la sera ogni famiglia consumi la cena di Pasqua, possibilmente dentro le mura di Gerusalemme. Così è per la “famiglia” dei discepoli riunita attorno a Gesù. Egli, che domina profeticamente quel che deve accadere, invia due discepoli in città perché scoprano che tutto in realtà è già stato preparato. Dovranno solo seguire l’uomo con la brocca (un segnale di qualcosa di anomalo, visto che era mansione per lo più riservata alle donne… forse un celibe della comunità essena?) che vedranno venire loro incontro. La domanda che dovranno porre al padrone di casa riprende la domanda che i discepoli stessi avevano posto a Gesù, ma essi sono ora coinvolti nella Pasqua di Gesù… nei versetti successivi vedremo quanto questa cena non sia affare che riguardi solo Gesù, ma tutti! I discepoli dovranno quindi ultimare la preparazione della cena all’interno di una sala appositamente già allestita. Tutto avviene come Gesù ha detto loro. Si è pronti per il trasferimento in città. Per la prima volta la sera non è più il momento in cui lasciare Gerusalemme per ritirarsi a Betania, ma l’inverso. Gesù va incontro alla minaccia che lo avvolge, entra nella notte terribile del tradimento, che inquina la tavola condivisa: “In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. Il mistero del tradimento è denunciato e al tempo stesso riportato a una dimensione personale che può riguardare ciascuno: non c’è un nome. Qui non c’è la gioia dei capi, ma la tristezza dei discepoli: “Sono forse io?”. A questa tavola, che si prolunga nell’eucarestia della chiesa, ognuno deve chiedersi cosa davvero ospiti nel proprio cuore, mentre “mette con Gesù la mano nel piatto”. Il cammino di Gesù è libera obbedienza alla volontà del Padre, testimoniata nelle Scritture, e nulla può sbiadire o offuscare la sovrana signoria di questo procedere: “Il Figlio dell’uomo se ne va…”. Eppure questo cammino è anche intrecciato, come in un tutt’uno, con il mistero del tradimento di “quell’uomo”. Tradimento di Gesù da parte di Giuda, che è tragicamente tradimento di sé, della propria stessa esistenza: “Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Accostarsi a questa tavola significa fare i conti con questa dimensione misteriosa e insondabile di un male senza ragioni, che porta solo distruzione e morte, e che può sempre insinuarsi e far fallire la sequela del discepolo, anche il più intimo.