Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!».
E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Come al termine della condanna religiosa presso il sinedrio si era scaricata su Gesù la violenza beffarda dei servi del sommo sacerdote, così anche qui il verdetto di morte emesso da Pilato ha come esito immediato l’espressione da parte dei soldati di una messa in scena sarcastica e feroce nei confronti del “re dei Giudei”. Per di più Gesù qui è vittima non solo della violenza e della derisione dei soldati, ma anche di una distorsione delle accuse nei suoi confronti: ciò per cui è irriso e umiliato è una pretesa di potere che non ha mai fatto propria. I soldati lo assimilano ai vari “Barabba” ebrei che a più riprese guidavano la ribellione contro il potere occupante di Roma; e sarà proprio in mezzo a due di loro che Gesù sarà giustiziato sulla croce. I soldati fanno oggetto del loro disprezzo e della loro prevaricazione un uomo che per loro incarna un’ambizione (o potremmo dire una “velleità”) indipendentista di Israele nei confronti di Roma che in realtà non ha mai sfiorato né le intenzioni di Gesù (ricordate la questione del tributo… 12,13-17) né il senso della sua missione (cfr. p. es. 10,41-45!). Ma mentre il giusto umiliato manifesta tutta la sua misteriosa grandezza, il sistema mondano del potere e della violenza si svuota e si delegittima proprio nel momento stesso della sua apparente vittoria. Quando la derisione non è l’espressione della resistenza dell’umile nei confronti del potente, ma il delirio di onnipotenza del forte nei confronti del debole, allora tutto è rovesciato e pervertito. Al mondo non basta vincere, vuole il posto di Dio, vuole stravincere, umiliando, togliendo non solo la vita, ma anche la dignità al povero. Ed è proprio in quel momento che si scopre in tutta la sua fallacia, nella sua radicale inconsistenza. Gesù non ha voluto prendere il potere del mondo e neppure combatterlo. Ma è accettando di diventarne la vittima innocente che ne ha manifestato tutta la menzogna.