Collatio Marco 15,6-15

A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio.

La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Lo stupore di Pilato davanti al silenzio di Gesù aveva registrato un situazione di stallo che per un momento ci aveva fatto rimanere col fiato sospeso: come potrà l’autorità romana avallare il consiglio di morte del sinedrio? Ma ora l’indicazione della festa interviene come l’elemento che sblocca l’impasse. Del resto è così: la festa è una sospensione dell’ordine costituito che può trasformarsi nello scenario dove l’innocente diviene la vittima di una violenza finora trattenuta, come già avevamo ascoltato nel brano dell’esecuzione di Giovanni. Là il “tempo opportuno” era stata la festa di compleanno di Erode. Anche in questa dinamica la vicenda del battista precorre e offre una chiave a quella di Gesù. Ecco qui l’eccezione che questa festa porta con sé: “egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta”. Insomma si offre a Pilato l’occasione di uscire dall’imbarazzo di questo giudizio utilizzando la tradizione della concessione di una “grazia” richiesta dal popolo per ridimensionare le pretese delle fastidiose autorità religiose ebraiche e ingraziarsi il favore del popolo. Pilato propone esplicitamente la liberazione di Gesù: “Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?”, confidando e insinuandosi nell’attrito che a proposito di Gesù si era sviluppato tra il popolo e i capi: “Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia”. Pilato si gioca dunque la carta “populista” (non esattamente un’invenzione dei nostri giorni!) per limitare il potere dell’élite religiosa e fare l’occhiolino alla gente, che aveva osannato Gesù al suo ingresso in Gerusalemme e “lo ascoltava volentieri” (12,37; cfr. anche 6,20) forse anche per le sue prese di posizione nei confronti delle ipocrisie e prevaricazioni di cui i capi (di ogni tempo) si rendevano protagonisti. Pilato pensa di vincere facile, senza neppure dover emettere un giudizio nei confronti di questo profeta di Galilea che non ha certo l’aria di un pericoloso sovversivo. Come gli è stato scaricato il problema da parte dei capi religiosi, Pilato può ora scaricarlo a sua volta su una folla che pensa di conoscere e manipolare. Sta qui la sua debolezza. La folla messa di fronte alla scelta non sa cosa volere, esattamente come la figlia adolescente di Erodiade davanti alla promessa di Erode («Allora il re disse alla fanciulla: “Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò”. E le giurò più volte: “Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno”. Ella uscì e disse alla madre: “Che cosa devo chiedere?”» 6,22-24). Per di più qui la “scelta” è fra due personaggi che sono per sé assolutamente contrapposti tra loro (in Atti Pietro davanti al popolo di Gerusalemme esprimerà questa opposizione tra Gesù e Barabba nel modo più efficace: “voi avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l’autore della vita” At 3,14-15), eppure qui anche intrecciati e confusi tra loro: Barabba (nome che significa “figlio del padre”!) è una specie di controfigura, di caricatura grottesca di quell’immagine di malfattore con la quale i capi vogliono a tutti i costi far passare Gesù. La folla non sa distinguere, non sa scegliere. La folla, per il vangelo di Marco, non ha discernimento. E qui si affida, paradossalmente, proprio al consiglio di quei capi così mal sopportati: “i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba”. Quando non si pensa, o non si è in grado di farlo, c’è sempre qualcuno che invece lo fa, e prevale! La domanda sulla sorte da riservare a Gesù riceve così la risposta più anonima e spietata: “Crocifiggilo!”. La tardiva protesta di Pilato (“Che male ha fatto?”) ormai non ha più alcuna efficacia. Egli ha già rinunciato alla propria autorità, pensando di essere più furbo. E ora è costretto a cedere alle grida sempre più forti di una folla in balìa del proprio rancore più ancora che delle pressioni dei capi, una folla che si convince di aver trovato finalmente un capro espiatorio per i propri malesseri e insoddisfazioni “crocifiggilo!”. Viene detto che Pilato “volle dare soddisfazione alla folla”, ma in realtà che altro può fare ora? L’ultima consegna di Gesù non ha più un destinatario: “lo consegnò perché fosse crocifisso”. Gesù è ora il “consegnato”, vittima di un rifiuto e scarico di responsabilità che assume infine una dimensione universale: nessuno lo vuole, egli è di tutti, per tutti.

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