Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni.
Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Il vangelo di Marco è finito, con lo spavento e l’estasi (così letteralmente, tradotto con “stupore”) delle donne che rimandano ad un “attraversamento” misterioso e terribile che deve avvenire oltre il testo, nella vita di chi vuole aderire all’invito di Gesù a seguirlo in una vita donata. Ma ben presto (nei primi decenni del secondo secolo) si sente il bisogno di dotare il vangelo di Marco di un’ulteriore conclusione che lo armonizzi con gli altri vangeli e in qualche modo lo “normalizzi”, dal momento che viene letto, meditato e pregato anche fuori dal suo contesto iniziatico e pasquale. Insomma, nel momento in cui il vangelo si trova in una collocazione nuova, quella del canone delle Scritture del Nuovo Testamento, quello che doveva compiersi “fuori dal testo” (la conversione, la professione di fede, il passaggio ad una vita nuova… da parte dei catecumeni e con loro dell’intera comunità celebrante) è in qualche modo riportato “come testo”, come ulteriore narrazione delle origini. E allora c’è innanzitutto il riferimento alla prima testimone del risorto, Maria Maddalena, la più schiava e la più profondamente liberata (sette demòni!), alla quale i discepoli, tutti presi dal loro dolore, non vogliono dare credito (in un colpo solo non accogliendo né la vittoria di Gesù sulla morte, né di fatto la nuova condizione liberata e credibile di Maria Maddalena… non c’è l’una cosa senza l’altra!). E poi c’è il breve riferimento alla memoria lucana dei discepoli di Emmaus, cui Gesù risorto si manifesta “mentre erano in cammino verso la campagna” e che ritornano ad annunciarlo agli altri. Il doloroso ritornello è lo stesso: i discepoli, prima di credere essi stessi, manifestano la loro ostinata incredulità davanti ai testimoni del Risorto. Questa continuazione del racconto non deve farci perdere l’effetto originale, anzi potremmo dire che proprio con la sua presenza ci sottolinea la potenza di quella conclusione sospesa, quasi strappata, quel senso finale di timore ed estasi (essere fuori di sè) senza il quale rimane incomprensibile la forza del vangelo di Gesù come potenza di Dio che ci afferra con un amore geloso e irresistibile, ci strappa al possesso di noi stessi attraverso il travaglio della croce, e ci introduce nel fuoco ardente del mistero stesso di Dio, della sua comunione, della sua vita.