Collatio 20-11-2018

Matteo 27,27-31

Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra.

Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.

Eccoci giunti al momento della narrazione della passione in cui l’umiliazione di Gesù raggiunge il suo punto più basso. I soldati mettono in scena non semplicemente una volgare irrisione di Lui, ma una vera e propria parodia della dinamica di investitura e spoliazione del potere. È una specie di rappresentazione di destituzione: colui che si era innalzato ora cade in disgrazia tra la meschina soddisfazione delle truppe codarde. A Gesù viene attribuita una pretesa di regalità politica che non gli appartiene. Eppure basta questo per far sì che i soldati identifichino in Lui le proprie ambizioni fallite, la propria brama di potere repressa. Sono troppo vili o incapaci o servili per misurarsi con la esigente salita del successo mondano: a loro basta prendersela con chi, ai loro occhi, ora è finalmente umiliato e non fa più nessuna paura. Sembra l’immagine di tante dinamiche di rivalsa, di una umanità pavida e meschina che in tante forme ripete le proprie dinamiche di “machismo” e di “bullismo” e si scaraventa senza pietà e con sadico piacere su chi è divenuto uno scarto indifeso di cui ci si può approfittare. Certo, al centro del brano c’è l’espressione sarcastica “Salve Re di Giudei”, che suona però anche come un paradossale riconoscimento. Ma il vangelo non vuole presentarci un’icona di mitezza o di silenzio o di qualche altra virtù di Gesù in questa scena. Egli è del tutto in balìa della truppa e della sua violenza. Non ci ricordiamo più delle “dodici legioni di angeli” pronte a intervenire… agli occhi dei soldati non c’è più il contegno luminoso e pieno di dignità e di forza di Gesù che il vangelo ci ha finora suggerito. Il “Re” è irriconoscibile (Mt 25,31-46). Essi non vedono altro che un poveraccio da umiliare e calpestare, un giudeo stravagante e ambizioso, che ha miseramente fallito, un signor nessuno. “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53,2-3). Gesù è lì, dove ogni uomo scartato è spogliato della sua dignità, esattamente allo stesso modo. Dobbiamo sentire tutto il rispetto che il vangelo ha per questa condizione, oggettiva, senza che la dobbiamo riempire di morale o di buoni sentimenti. Gesù non è lì a rappresentare un modello di sopportazione, o di umiltà, o di pazienza, o di mitezza, o di silenzio… è lì semplicemente come oggetto di una violenza e di una brutalità senza senso verso l’umanità, per abitarla, semplicemente, della sua presenza e per riscattarla in ogni uomo calpestato, privato della sua dignità, negato.

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