Matteo 27,32-38
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.
Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
La estrema sobrietà e nudità della narrazione ci consegnano una scena disadorna e pulita. La pietà popolare, soprattutto attraverso la via crucis, ha riempito con amore questa scena, in particolare con la vicinanza affettiva e orante alla umanità di Gesù che patisce e si offre per i nostri peccati. Per il vangelo il Cireneo non è né uno “costretto” perché non voleva prendere la croce (si usa il termine tecnico della “angherìa”, il diritto dei soldati romani occupanti di esigere prestazioni dalla popolazione civile, cfr. 5,41!) né l’esempio del discepolo che prende la sua croce dietro al Signore (qui il Cireneo non porta la “sua” ma quella di Gesù!). Il vino mescolato col fiele rimanda al salmo 67,22, e la “guardia” dei soldati non è un riferimento iperbolico alla paura che Gesù possa “scendere dalla croce”, ma la preparazione della testimonianza del centurione e dei soldati al versetto 54. La scritta che riferisce la motivazione della condanna ripete la domanda di Pilato e lo scherno dei soldati, in una scena in cui il re è al centro di due malfattori, condannati alla croce come lui. Senza squalificare la preziosità e l’importanza della tradizione della via crucis e, in generale, della devozione centrata sulla passione di Gesù, sembra utile qui rimanere al dettato sobrio del vangelo che ci pone semplicemente davanti a ciò che accade, senza indulgere in nulla, ma in queso modo da una parte aprendo alle spontanee risonanze di ciascuno, e dall’altra inducendoci ad un silenzio attento e ad un atteggiamento rigoroso davanti al mistero che si compie dentro la spoglia, dura ordinarietà di ciò che avviene. Il segnale di questa traccia di Dio in questa vicenda terribile non è la descrizione dei sentimenti di Gesù o l’amplificazione della sua sofferenza, ma, per il vangelo, soprattutto la citazione del Salmo 21 (“si divisero le sue vesti tirandole a sorte” nei versetti successivi lo stesso salmo sarà citato altre due volte) che qui si compie: Dio non lascia il suo giusto da solo, è presente anche nelle tenebre del suo dolore. Vale qui la pena di ascoltare qualche versetto della seconda parte del salmo: “Lodate il Signore, voi che lo temete,gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito… Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui… al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!»”.
Stiamo semplicemente un po’ davanti alla scena che il vangelo con pudore e rispetto ci rappresenta, riconoscendo il compiersi delle scritture e del disegno di salvezza di Dio, adorando la sua presenza in Gesù crocifisso, e quindi, da allora, in ogni crocifisso della storia.