Matteo 28,1-10
Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.
Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Ecco finalmente svelato il senso di quella insistenza del vangelo per la presenza delle donne alla morte (27,55-56) e alla sepoltura (27,61) di Gesù: ora, recandosi al mattino presto al sepolcro per “dare un’occhiata”, diventano le protagoniste della scena decisiva nel primo giorno dopo il sabato. Il grande terremoto, già lo sappiamo (27,51!), è il segnale dell’agire di Dio: l’angelo celeste, splendente della gloria di Dio, apre allo sguardo delle donne l’interno del sepolcro rotolando via e sedendosi su quella pietra, che è ormai il segno di una morte definitivamente sottomessa alla potenza di Dio. Ma non è per tutti una buona notizia: i soldati, custodi della morte, rimangono “terremotati” (si usa lo stesso termine), partecipi di quella stessa morte che pretendono difendere. Ma ora c’è bisogno di una parola. Le donne che assistono a tutto questo diventano le destinatarie di un annuncio da parte dell’angelo, che le rassicura: loro non hanno nulla da temere, perché sono lì per cercare Gesù, il crocifisso. Ora è chiaro perché l’angelo ha aperto il sepolcro: per permettere alle donne di constatare che Gesù non è qui, è risorto. La notizia della risurrezione di Gesù non è una deduzione delle donne o il frutto di una riflessione dei discepoli davanti alla tomba vuota. L’annunzio della vittoria e della vita inesauribile che Dio dona a Gesù crocifisso, e in lui a tutti coloro che si fanno suoi discepoli, è l’annunzio stesso del Vangelo: esso risuona per la prima volta con la voce di un angelo glorioso inviato da Dio stesso. Da allora le donne, poi i discepoli inviati a tutte le genti, e di generazione in generazione, non faranno che ripetere questo annunzio celeste, che apre alla esperienza e alla intelligenza della vita nuova donata in Gesù crocifisso e risorto. “Dite ai suoi discepoli che è risorto dai morti!”. Gesù vivo precede i suoi discepoli in Galilea, dove lo vedranno. Il Vangelo proclamato dall’angelo è affidato alle donne perché lo portino ai discepoli, ed essi, testimoni del risorto, lo annunzino a tutte le genti. L’angelo affida alle donne le sue parole, con tutta l’autorità celeste che le avvolge, le sostiene e le spinge. Il vangelo ci descrive la sollecitudine, la fretta delle donne che corrono ad annunziare ai discepoli, in un meraviglioso e umanissimo miscuglio di paura e di gioia. È lì, in questa corsa delle donne inviate dall’angelo, che le donne per prime scoprono la presenza nuova e viva di Gesù, che va loro incontro invitandole alla gioia (letteralmente: “gioite!” , non semplicemente “salute a voi”); alle donne che si prostrano riconoscendolo Signore, Lui ancora ripete di non temere e di portare a termine la loro corsa verso i discepoli, affinché vadano a quell’appuntamento in Galilea verso il quale ormai tutta la narrazione del vangelo è orientata come al suo culmine.