2 Tessalonicesi 1,1-5
Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.
Dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli, come è giusto, perché la vostra fede fa grandi progressi e l’amore di ciascuno di voi verso gli altri va crescendo. Così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra perseveranza e la vostra fede in tutte le vostre persecuzioni e tribolazioni che sopportate. È questo un segno del giusto giudizio di Dio, perché siate fatti degni del regno di Dio, per il quale appunto soffrite.
Eccoci ora alle prese con una nuova piccola lettera delle scritture cristiane, questa volta dell’epistolario paolino, che ci accompagnerà fino all’inizio della novena di Natale. Paolo, insieme ai suoi collaboratori Silvano e Timoteo, si vede costretto ad inviare una seconda lettera alla comunità di Tessalonica, a breve distanza dal suo primo scritto (appunto, la Prima Lettera ai Tessalonicesi) per precisare alcuni aspetti che riguardano il rapporto tra l’attesa del Signore e la vita dentro la storia dei discepoli di Gesù. Nel saluto iniziale Paolo ricorda che la Chiesa è destinataria di tutti i doni che vengono da Dio e da Gesù Signore (la grazia e la pace, o “la grazia della pace”), perché essa è sì geograficamente situata in Tessalonica, ma in realtà, in un senso più profondo, è in Dio Padre e nel Signore Gesù. È quello il “luogo” della sua vita, della sua identità, dell’esperienza della grazia e della pace. Quindi per prima cosa Paolo ringrazia, come “dobbiamo” fare “sempre”. Ringrazia perché la fede dei Tessalonicesi cresce: è questo che succede se la fede è viva. E ringrazia perché l’amore reciproco all’interno della comunità sovrabbonda, perché ognuno fa la sua parte. La comunità attraversa un tempo di persecuzione e tribolazione e lo vive con pazienza e con fede, e questo diventa, attraverso la testimonianza di Paolo, occasione di sostegno ed edificazione anche per le altre Chiese. I Tessalonicesi soffrono per il Regno di Dio, per diventarne degni. Non perché si debba soffrire per “meritarselo”, o perché non si va in paradiso in carrozza, ma perché in quel “soffrire per il Regno” c’è un mistero più grande, c’è una partecipazione reale a quello “scandalo della croce” che è il modo paradossale con il quale Dio in Gesù opera misteriosamente dentro la storia per la nostra liberazione e salvezza, perché si compia il suo Regno di amore per tutti.