Isaia 3,16-4,1
Dice il Signore: «Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion, procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi, facendo tintinnare gli anelli ai piedi, il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà la loro fronte».
In quel giorno il Signore toglierà l’ornamento di fibbie, fermagli e lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cinture, boccette di profumi, amuleti, anelli, pendenti al naso, vesti preziose e mantelline, scialli, borsette, specchi, tuniche, turbanti e vestaglie.
Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cintura una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciatura.
I tuoi prodi cadranno di spada, i tuoi guerrieri in battaglia.
Si alzeranno lamenti e gemiti alle sue porte ed essa, disabitata, giacerà a terra.
Sette donne afferreranno un uomo solo, in quel giorno, e diranno: «Ci nutriremo del nostro pane e indosseremo le nostre vesti; soltanto, lasciaci portare il tuo nome, toglici la nostra vergogna».
In parallelo con i versetti precedenti che si occupavano dei capi, ora sono le nobildonne di Gerusalemme a essere l’obiettivo del tremendo giudizio di Dio. La descrizione che Isaia ne fa, con la sua acuta capacità di osservazione (il profeta è colui che “vede”!) è ancora una volta plastica ed efficace oltre che sarcastica: l’insuperbirsi delle ricche dame di Gerusalemme è tratteggiato in tutto il fatuo ridicolo atteggiamento altezzoso, nella postura distante e ammiccante allo stesso tempo, nelle mosse studiatissime. Si completa le descrizione di una classe dirigente corrotta e insensibile con il quadretto di queste donne dell’alta società che annoiate esibiscono il loro lusso nella più completa indifferenza di un popolo che va in rovina, dei poveri schiacciati; le loro case sono piene dei beni sottratti ai poveri, e i loro guardaroba un trionfo di ninnoli e un’invasione infinita e oltraggiosa di ornamenti preziosi. La condanna di Dio, che verrà come un castigo terribile e inevitabile, è la manifestazione della sterilità di questa vita inerte, vissuta per se stessi, è l’esito drammatico di questa ostentata celebrazione del nulla. La miseria, la sciagura, la guerra, la morte colpirà Gerusalemme come una donna violentata e abbandonata. A quell’uomo col mantello che viene supplicato perché diventi capo, corrisponde questo uomo, sopravvissuto alla morte in battaglia, che viene supplicato da sette donne perché, a qualsiasi condizione, le prenda in moglie. Quelle donne ricche e sprezzanti, che ritenevano di dimostrare il proprio prestigio sfoggiando una vita inoperosa e sterilmente lussuosa (al contrario della “donna forte” di Pr 31,10-31!), si ritrovano a supplicare di essere “prese” da un uomo, rinunciando a farsi mantenere da lui, purché dia loro il nome (e una discendenza?). Anche qui (come per il caso dell’uomo con mantello) il gesto disperato svela l’inconsistenza di donne che non accettano di mettersi davvero in discussione, pronte a tutto pur di recuperare un qualche valore sociale all’ombra di un uomo. La rovina è completa.