Isaia 5,1-7
Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata.
La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
Per evitare alcuni possibili fraintendimenti, è utile chiarire meglio la traduzione del primo versetto. Più precisamente il testo dice: “Voglio cantare per il mio amico il canto dell’amato per la sua vigna”. Ci sono due termini, molto simili, che hanno un significato diverso, e che qui ho reso con “amico” e “amato”. Il primo termine indica semplicemente l’amicizia, mentre il secondo (“dodì”, è l’amante che ricorre quasi quaranta volte nel Cantico dei Cantici, tradotto come “l’amato mio” o “il mio diletto”) ha una connotazione sessuale molto forte. L’immagine è dunque quella di un “amico dello sposo” che canta l’amore di Lui per la sua amata (sotto la metafora della vigna), la sua aspettativa tradita, e il suo atto di accusa. Gli ascoltatori (gli abitanti di Gerusalemme) sono facilmente attirati da questa storia di un amore ferito e mentre si chiedono come andrà a finire vengono loro stessi interpellati ad emettere un giudizio tra il diletto e la sua amata. Una specie di breve melodramma romantico interattivo, dove gli spettatori sono invitati, da parte dell’amico dello sposo, a prendere le parti dell’amato contro la sua amata cattiva e ingrata. Ma non si attende risposta. L’intento è solo quello di identificare l’uditorio con le ragioni dell’offeso. È lo sposo stesso che, con la voce dell’amico, esprime tutta la sua amarezza, il suo amore deluso, la sua rabbia davanti all’incomprensibile disprezzo dell’amata e quindi la sua decisione di abbandonarla. E qui l’atto di accusa e il giudizio sulla vigna assume dei connotati così gravi da far intendere la vera identità dello sposo, e quindi anche della sposa: “la renderò un deserto… alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia”. Chi può comandare alle nubi se non il Signore? E quindi è chiaro ora chi è questa vigna, questa sposa ingrata: “ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita”. Come fece Natan con Davide (2Sam 12), così ora il profeta (lui, “l’amico dello sposo” come dirà il vangelo di Giovanni Battista…! cfr. Gv 3,29) racconta una storia che fa immedesimare l’ascoltatore con le ragioni dell’altro e gli fa emettere la sentenza di condanna che altrimenti non accetterebbe se la sentisse direttamente rivolta a sé. Quella condanna è comprensibile perché appartiene ad una storia di amore, perché è la manifestazione di una ira che viene da un cuore ferito, da un cuore che “attendeva” un frutto buono e che inspiegabilmente riceve male in cambio di tutto il bene e la cura: “attendeva giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”. La beffa è amplificata dolorosamente dal gioco di parole: “attendeva “mishpat” (giustizia) ed ecco “mishpah” (spargimento di sangue); attendeva “zedaqah” (rettitudine) ed ecco “zeaqah” (grida di oppressi)”. L’incomprensibile violenza verso i fratelli e i poveri in risposta al bene ricevuto da Dio è la ragione di una condanna terribile. Ma la storia d’amore con la vigna non finisce qui, dovremo aspettare il capitolo 27: “la vigna sarà deliziosa, cantatela!… (vv. 2-4). La parola sempre ci aiuta ad uscire dall’orizzonte egocentrico della nostra rappresentazione della realtà (noi sempre vittime, creditori, meritevoli, incompresi…), per accorgerci e fare nostro il “punto di vista” di Dio, del suo bene e delle sue attese per noi, nel nostro rapporto con i fratelli e con i poveri (cfr. Mt 18,21-35!).