Collatio 13-2-2019

Isaia 17,1-11

Oracolo su Damasco.
Ecco, Damasco cesserà di essere una città,
diverrà un cumulo di rovine.

Le città di Aroèr saranno abbandonate;
saranno pascolo delle greggi,
che vi riposeranno senza esserne scacciate.
A Èfraim sarà tolta la cittadella,
a Damasco la sovranità.
Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte
della gloria degli Israeliti.
Oracolo del Signore degli eserciti.
In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe
e la pinguedine delle sue membra dimagrirà.
Avverrà come quando il mietitore
prende una manciata di steli,
e con l’altro braccio falcia le spighe,
come quando si raccolgono le spighe
nella valle dei Refaìm.
Vi resteranno solo racimoli,
come alla bacchiatura degli ulivi:
due o tre bacche sulla cima dell’albero,
quattro o cinque sui rami da frutto.
Oracolo del Signore, Dio d’Israele.
In quel giorno si volgerà l’uomo al suo creatore e i suoi occhi guarderanno al Santo d’Israele. Non si volgerà agli altari, lavoro delle sue mani; non guarderà ciò che fecero le sue dita, i pali sacri e gli altari per l’incenso.
In quel giorno avverrà alle tue fortezze
come alle città abbandonate,
che l’Eveo e l’Amorreo evacuarono
di fronte agli Israeliti
e sarà una desolazione.
Perché hai dimenticato Dio, tuo salvatore,
e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza,
tu pianti giardini ameni
e innesti tralci stranieri.
Nel giorno in cui li pianti, li vedi crescere
e al mattino vedi fiorire i tuoi semi,
ma svanirà il raccolto nel giorno della sventura
e del dolore insanabile.

Damasco (la Siria) e Efraim (il Regno del Nord, ossia “Giacobbe” o “Israele”), accomunate nel tentativo di resistenza all’offensiva assira e di coinvolgimento di Giuda (Gerusalemme) in questa resistenza (cfr. capitolo 7!), saranno distrutte. Ancora una volta il presagio è di morte e la profezia riguarda una sventura imminente e inevitabile. Ma la distruzione non sarà l’unica parola: essa nasconde in sé la purificazione di una gloria ingannevole, una “cura dimagrante” necessaria ad un cuore grasso e insensibile. Il profeta è testimone di un Dio che non accetta di essere usato come rappresentazione di una falsa consolazione, una via di fuga dalla durezza della vita. Siamo tutti provvisori, come dei sopravvissuti, come steli di grano scampati alla falce, come olive sparute rimaste alla bacchiatura; direbbe il poeta: “Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”. È questo il “dolore insanabile” della vita che nessun artificio (neppure religioso!) può toglierci. I “giardini ameni”, in cui coltivare meravigliosi fiori effimeri e senza frutto, sono distrazioni idolatriche dalla sfida della vita, della morte e del senso (oggi potrebbe essere la religione della “tecnologia” e i suoi inganni di potenza). Ogni tentativo di fuga è una vana fantasia. Il Signore, creatore del cielo e della terra è la roccia, è la realtà intera contro la quale ci si schianta, o sulla quale ci si appoggia. Solo l’affidamento dell’uomo al suo Creatore, nell’accettazione dell’esistenza con tutto quello che è, nella verità, può riconsegnarci ad una vita autentica, ferita, umile e buona.

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