Isaia 21,1-10
Oracolo sul deserto del mare.
Come i turbini che si scatenano nel Negheb,
così egli viene dal deserto, da una terra orribile.
Una visione tremenda mi fu mostrata:
il saccheggiatore che saccheggia,
il distruttore che distrugge.
Salite, o Elamiti,
assediate, o Medi!
Io faccio cessare ogni gemito.
Per questo i miei reni sono nello spasimo,
mi hanno colto dolori come di una partoriente;
sono troppo sconvolto per udire,
troppo sbigottito per vedere.
Smarrito è il mio cuore,
la costernazione mi invade;
il tramonto tanto desiderato
diventa il mio terrore.
Si prepara la tavola,
si stende la tovaglia,
si mangia, si beve.
Alzatevi, o capi,
ungete gli scudi,
poiché così mi ha detto il Signore:
«Va’, metti una sentinella
che annunci quanto vede.
E se vedrà cavalleria,
coppie di cavalieri,
uomini che cavalcano asini,
uomini che cavalcano cammelli,
allora osservi attentamente,
con grande attenzione».
La vedetta ha gridato:
«Al posto di osservazione, Signore,
io sto sempre lungo il giorno,
e nel mio osservatorio
sto in piedi, tutte le notti.
Ecco, qui arriva una schiera di cavalieri,
coppie di cavalieri.
Essi esclamano e dicono: “È caduta,
è caduta Babilonia!
Tutte le statue dei suoi dèi
sono a terra, in frantumi”».
O popolo mio, calpestato e trebbiato come su un’aia,
quanto ho udito
dal Signore degli eserciti,
Dio d’Israele,
a voi l’ho annunciato.
Già l’espressione “il deserto del mare” (sarebbe un riferimento a Babilonia) ha un effetto un po’ straniante, e così ci si inoltra in un oracolo su Babilonia che ci sorprende e ci lascia un po’ confusi: come si associa il senso di grande sofferenza che il profeta esprime e l’annunzio che “è caduta Babilonia”? Non è una contraddizione? Babilonia non è la grande nemica? O ci troviamo davvero in una specie di “deserto del mare” dove sembrano convivere gli opposti? Forse il contesto storico originario si riferiva ad un tempo (quello di Isaia) in cui Babilonia rappresentava un alleato contro l’Assiria e la sua caduta effettivamente una “cattiva notizia” per Israele già “calpestato e trebbiato come su un’aia” dall’Assiria. E allora torna qui il tema di alleanze umane e politiche che si dimostrano fallaci e che lasciano il popolo esposto alla distruzione: nel capitolo precedente si trattava dell’Egitto (“Ecco che cosa è avvenuto della speranza nella quale ci eravamo rifugiati per trovare aiuto ed essere liberati dal re d’Assiria! Ora come ci salveremo?”) e ora di Babilonia. Ma qui non c’è alcun senso superiorità o critica in nome di una salvezza che viene solo da Dio. C’è tutto lo sgomento e l’angoscia nell’attesa di una terribile notizia che sta per giungere inevitabile e che comunicherà la caduta di un alleato così importante e strategico per le sorti di Israele. Il profeta non vuole sentire, non vuole vedere, è pieno di paura e smarrimento in una attesa che vive come davanti all’inevitabile; eppure il Signore gli chiede di essere sentinella, di osservare con grande attenzione, durante il giorno e la notte, fino a constatare la fine di una difesa di cui dovrà dare conto al popolo. Certo il profeta sa che solo in Dio c’è salvezza, ma questo non gli impedisce di vivere in prima persona tutto il dramma del crollo delle altre umane speranze e la dolorosa purificazione che questo comporta. Non è senza un costo il passaggio attraverso quel venir meno di ogni sicurezza umana che permette al povero l’umile abbandono nelle mani di Dio.