Isaia 30,8-18
Su, vieni, scrivi questo su una tavoletta davanti a loro,
incidilo sopra un documento,
perché resti per il futuro
in testimonianza perenne.
Poiché questo è un popolo ribelle.
Sono figli bugiardi,
figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore.
Essi dicono ai veggenti: «Non abbiate visioni»
e ai profeti: «Non fateci profezie sincere,
diteci cose piacevoli, profetateci illusioni!
Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero,
toglieteci dalla vista il Santo d’Israele».
Pertanto dice il Santo d’Israele:
«Poiché voi rigettate questa parola
e confidate nella vessazione dei deboli e nella perfidia,
ponendole a vostro sostegno,
ebbene questa colpa diventerà per voi
come una breccia che minaccia di crollare,
che sporge su un alto muro,
il cui crollo avviene in un attimo, improvvisamente,
e s’infrange come un vaso di creta,
frantumato senza misericordia,
così che non si trova tra i suoi frantumi
neppure un coccio
con cui si possa prendere fuoco dal braciere
o attingere acqua dalla cisterna».
Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele:
«Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,
nell’abbandono confidente sta la vostra forza».
Ma voi non avete voluto,
anzi avete detto: «No, noi fuggiremo su cavalli».
Ebbene, fuggite!
«Cavalcheremo su destrieri veloci».
Ebbene, più veloci saranno i vostri inseguitori.
Mille saranno come uno solo di fronte alla minaccia di un altro,
per la minaccia di cinque vi darete alla fuga,
finché resti di voi qualcosa
come un palo sulla cima di un monte
e come un’asta sopra una collina.
Eppure il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia,
per questo sorge per avere pietà di voi,
perché un Dio giusto è il Signore;
beati coloro che sperano in lui.
Il profeta non si stanca di ripeterlo: rigettare la parola di Dio confidando “nella vessazione dei deboli e nella perfidia” è la vera ragione della rovina incombente e irreparabile. È semplice e categorico: l’ingiustizia, presto o tardi, genera morte e si ritorce contro chi la pratica. Non si può far finta di niente; è come un muro con una crepa, che pian piano si allarga, ma che “in un attimo, improvvisamente” a un certo punto crolla, e va in mille pezzi, come un vaso i cui frammenti sono così piccoli da risultare inservibili. Così è la nostra vita corrotta e inautentica. Ma la parola del profeta non è ascoltata. I figli ribelli non vogliono aprire gli occhi sulla sciagura che si stanno costruendo con la violenza del loro comportamento. Non vogliono ascoltare, non vogliono vedere; preferiscono parole compiacenti che li confermino nella menzogna della loro ingiustizia, nell’inganno del loro peccato, nell’illusione che tutto andrà bene, che in qualche modo si farà. È per questo che il Signore comanda al profeta di scrivere: perché le sue parole non ascoltate rimangano a testimonianza futura. È così che la profezia di Isaia comincia a diventare un “libro”: una parola non ascoltata che attende il tempo, dopo il castigo, di orecchie pronte, finalmente, ad ascoltare. Davanti alla rovina i figli ribelli e ostinati cercheranno una fuga inutile, troppo fiacca e impaurita per resistere al nemico: rimane l’immagine desolata di un resto ridotto a nulla, “come un palo sulla cima di un monte”, abbandonato, fragile e indifeso. Eppure il Signore aveva chiesto solo di fidarsi di Lui; di abbandonare l’ingiustizia e di attraversare la tribolazione incombente non con l’illusione della fuga, ma con l’abbandono confidente nel Signore. Quella sarebbe stata la salvezza e la forza nell’ora del dolore e della paura. La testimonianza del profeta inascoltata e messa per iscritto dice del rifiuto del popolo, ma anche dell’attesa di un tempo che verrà, un tempo per l’ascolto, la conversione, il perdono, la salvezza. In quelle parole rifiutate, divenute “libro che attende”, è il Signore stesso che “aspetta con fiducia per farvi grazia”. Egli “sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui” in ogni tempo, anche noi oggi.