Ebrei 12,4-13
Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato
e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio.
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Se invece non subite correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete illegittimi, non figli! Del resto noi abbiamo avuto come educatori i nostri padri terreni e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre celeste, per avere la vita? Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità. Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Dimenticare e perdersi d’animo: con la stessa parola (che in italiano è resa prima con “avete dimenticate l’esortazione…” e poi “non ti perdere d’animo..” sempre al v. 5!) la lettera indica due atteggiamenti profondamente connessi. La possibilità di “rinfrancare le mani inerti e le ginocchia infiacchite” (v. 12) dipende dalla luce di una parola che ci riconsegna il senso “relazionale” del nostro patire, come occasione di di correzione e di crescita: ricordare è avere luce e quindi forza! Il figlio “percosso” è innanzitutto Gesù (che “pur essendo Figlio imparò l’obbedienza dalle cose che patì…” 5,8!), e dentro il suo patire possiamo intendere anche il nostro, di figli nel Figlio, non semplicemente come castigo o sventura, ma come segno misterioso della cura amorevole del Padre che non ci abbandona, come figli illegittimi, ai nostri percorsi tortuosi o ristretti, ma attraverso la correzione risana il nostro camminare tortuoso e zoppicante e dilata la nostra capacità di amore rendendoci “partecipi della sua santità” per un “frutto pacifico di giustizia”. L’autore della lettera sa bene che il tempo della correzione è difficile, perché nell’immediato “non è causa di gioia, ma di tristezza”; ma proprio per questo è necessario ricordare “l’esortazione rivolta come a figli”: non solo questi versetti di Proverbi, ma tutte le Scritture sono una grande “esortazione” di Dio per noi, perché ci riconosciamo finalmente figli. È nella memoria di questa dignità filiale, sempre rinnovata nell’ascolto, che possiamo leggere in profondità e in verità la nostra vita e il nostro patire, non più secondo gli occhi del mondo, per il quale la croce è solo il segno dei perdenti, dei maledetti, degli scartati. Solo la memoria dell’amore del Padre ci libera dalle nostre fughe davanti alla sofferenza, perché ci consente quella pazienza, quella perseveranza, quella mitezza filiale che ci fa attraversare il dolore per un “dopo”: “dopo (la correzione) arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati”.