Giovanni 1,14-18
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Credere è essere generati da Dio. Non è un semplice atto della nostra intelligenza e della nostra volontà: è un’opera di comunicazione di Vita da parte di Dio, perché credere “nel suo nome” è aprirsi al movimento di amore di Dio che si fa vita, luce, è accogliere la Parola che “diventa”, che si fa carne, che avviene nella storia. La ragione di ogni cosa, la luce che illumina ogni uomo, ciò per cui il mondo è fatto, il Verbo divino che in principio sta presso Dio, diventa ora un “pezzo” di questo stesso mondo! Supera la distanza incolmabile al mondo divenendone una parte, anzi divenendo “carne”, quindi debole, fragile, momentaneo, inconsistente. “Venne ad abitare”, più letteralmente: “pose la sua tenda” (cfr. Ap 7,15 e 21,3!). Il Verbo eterno diviene peregrinante, come la tenda che nel deserto accoglie la gloria di Dio, fatta di pelli di animali. Una carne destinata ad essere offerta in sacrificio, come agnello immolato. Questa carne è il luogo della gloria. I discepoli hanno contemplato e riconosciuto in quell’uomo, soprattutto nell’ora dell’innalzamento sulla croce, nel suo essere “il Figlio che viene dal Padre”, il mistero più alto della gloria di Dio. Non hanno solo visto, hanno contemplato e accolto il Verbo di Dio. Hanno riconosciuto il suo essere “pieno di grazia e di verità”, cioè la manifestazione della sua bellezza, la “grazia” (dono e bellezza) di quella vita sovrabbondante che è amore, e la “verità”, lo splendore di quella “luce vera” che è la Parola che apre alla conoscenza di Dio che è Padre. La testimonianza di Giovanni Battista indica in Lui l’atteso: “era di lui che io dissi!”. E la sua parola di attesa risuona qui in modo nuovo: “Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”. Gli altri Vangeli avevano registrato queste parole: “Colui che viene dopo di me è più forte di me” (Mt 3,11p). Ma ora questa “forza più grande” ha un nuovo significato, perché è chiaro che trae origine da un’orizzonte più vasto: “è avanti a me”, perché è il Verbo eterno del Padre, non semplicemente in un “prima” temporale ma come “primo (così letteralmente) di me”, cioè che mi precede e mi sovrasta da sempre come Figlio unigenito, per mezzo del quale tutto è stato creato. E’ questa la meditazione del Vangelo di Giovanni, che rilegge più in profondità gli eventi e le parole della storia con Gesù, rintracciando i segni del suo essere il Figlio preesistente del Padre. I discepoli hanno non solo contemplato, ma anche ricevuto, dalla sua pienezza traboccante, la grazia che compie ogni grazia, il dono pieno. Non più solo la legge dei servi, dono di Dio attraverso Mosè, per il bene e la vita del suo popolo, ma la partecipazione piena, da figli, alla vita di Dio in Gesù: la grazia e la verità. In tutto il vangelo di Giovanni andremo alla ricerca del volto di Dio, che nessuno ha mai visto, ma di cui Gesù, Figlio Unigenito, è, nella sua carne, la vera narrazione (lett. non è “rivelato”, ma “narrato”): “chi ha visto me, ha visto il Padre!” (Gv 14,9).