Giovanni 4,27-38
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
I discepoli sembrano interrompere il dialogo intenso e solitario tra Gesù e la Samaritana proprio sul più bello, quando, superate le ironie e le difese, si stanno finalmente toccando nell’intimità di un io-tu: “Sono io che parlo con te”. Il ritorno dei discepoli segna l’irrompere del contesto più ampio quando l’apice del contatto personale tra Gesù e la Samaritana è raggiunto. Ora è tempo di tornare, ciascuno, al “proprio”, la Samaritana in città e Gesù con i suoi discepoli, per “digerire” e condividere l’esperienza vissuta, e come li ha cambiati. Lo stupore dei discepoli nel vedere la poco raccomandabile scena del rabbi che parla con una donna fa sorgere in loro domande che rimangono in gola: “di cosa avrà avuto bisogno Gesù da doversi mettere a parlare con una donna, e per di più Samaritana? e di che cosa avranno mai potuto parlare?”. Forse il contegno di Gesù avrà rispedito indietro domande che ancor prima di essere pronunciate suonavano a loro stessi inopportune… Intanto la donna, che è stata dissetata più in profondità dall’incontro con Gesù (tant’è che abbandona la sua anfora al pozzo), porta in città la gioia stupita della sua esperienza con lui e una domanda decisiva: “che sia lui il Cristo?”. Dopo il lungo incontro con Gesù e la profondità della sua rivelazione del Padre nel dono dell’acqua viva dello Spirito, le parole della donna, piena di entusiasmo per aver sentito dire da Gesù “tutto quello che lei ha fatto”, ci sembrano francamente deludenti… e la domanda se sia lui il Cristo è pur sempre, solo, una cauta domanda. Tutto qui? Eppure, a ben guardare, la novità non sta tanto nei contenuti che la donna è in grado di ripetere agli altri o di elaborare, ma nella condivisione di un’esperienza che l’ha cambiata, che è divenuta in lei, al di là delle parole, “sorgente di acqua zampillante”: non si vergogna più della sua vita, non deve più andare al pozzo a mezzogiorno per evitare gli altri, ora la sua vita, guardata con infinito amore da Gesù, è liberata, trasformata, riconsegnata agli altri con nuova gioia, con un nuovo senso di appartenenza, non più fondato sulla ripetizione difensiva delle tradizioni, ma sulla condivisione di un amore che trabocca e che ora trascina tutti. “Uscirono dalla città e andavano da lui”. E così intanto i discepoli, che si preoccupano che Gesù mangi, in realtà hanno dentro le domande che, al di là delle loro intenzioni, esprimono forse cosa Gesù stesso, in senso più profondo, va meditando a sua volta al termine di questo incontro con la donna samaritana: “cosa cerco? di cosa abbiamo parlato…?”. Gesù, stanco, si era seduto al pozzo e aveva chiesto da bere. Ora, dopo l’incontro con la donna samaritana (e presumibilmente anche lui come lei senza aver bevuto!), sente di essersi nutrito in profondità, di essersi rinfrancato, di aver ripreso le forze: “io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. Quell’incontro lo ha nutrito, perché in esso ha fatto la volontà del Padre, ha compiuto la sua opera: portare il dono del suo amore al mondo. Ecco il segreto di Gesù: cercare la volontà del Padre e così nutrirsi di ciò fa, ritrovare forze in ciò in cui si affatica. Non è forse questo il segreto di una vita buona e inesauribile? Ed è quello che consegna anche ai suoi discepoli. Tante volte anche noi, chini sotto il peso delle nostre fatiche, preoccupazioni, responsabilità, aneliamo ad un riposo che poi non sappiamo godere, perchè rimaniamo ripiegati su noi stessi (o sul nostro smartphone?). Ma Gesù dice: “alzate i vostri occhi e guardate…!”. Riconoscere quanta bellezza c’è intorno a noi, frutto del lavoro e della fatica di chi ci ha preceduto, rinnova le nostre energie perché tutto questo non vada perduto, ma sia raccolto e si compia nell’incontro e nel riconoscimento di Gesù, e, in lui, del Padre e del suo amore. E’ l’esperienza di Gesù, che contempla in questa donna come la Samaria dalla provvidenza del Padre e dalla fede di tanti uomini e donne, all’interno della loro tradizione, è stata preparata a conoscere il suo volto; ed è l’esperienza che Gesù condivide con i suoi discepoli inviati, invitati ad alzare lo sguardo, e ad entrare, ora, nella gioia del raccolto, entrando nella fatica “nutriente” di Gesù, il seminatore. Tante fatiche non ci nutrono perché con esse pretendiamo di cominciare tutto daccapo e affermiamo noi stessi; entrare nella fatica di Gesù che cerca la volontà del Padre e si gloria di compiere l’opera affidata, ci nutre e ci colma di una gioia condivisa e sovrabbondante.