Collatio 31-7-2019

Giovanni 4,43-54

Trascorsi due giorni, partì di là per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.

Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Continua il viaggio di Gesù verso la Galilea e già aleggia la frase di Gesù di una mancata accoglienza in patria (che abbiamo nell’orecchio dai vangeli sinottici, in occasione della fallimentare visita a Nazareth; cfr. Mc 6,4p). Eppure, almeno per il momento, gli eventi sembrano contraddirlo: i Galilea fanno buona accoglienza a Gesù, loro stessi testimoni a Gerusalemme, durante la festa, dei segni da lui compiuti. Certo Gesù sembra non fidarsi di una fede nata dalla visione dei segni (cfr. 2,23-25!), e perfino quando, di nuovo a Cana, gli si presenta un funzionario del re, che lo supplica per la guarigione del figlio in pericolo di morte, risponde insofferente: “se non vedete segni e prodigi, voi non credete!”. Dopo l’incontro con i Samaritani, che in molti avevano creduto in lui non per aver visto dei segni, ma “per la parola della donna” (4,39) e poi “molti di più credettero per la parola di Gesù” (4,41), la sua frase sulla fede a partire dal vedere segni sembra una nuova provocazione (dopo quella del profeta che non riceve onore nella sua patria) rivolta proprio ai Galilei in contrasto con la disponibilità dei Samaritani (cfr, la dinamica di Lc 4,14-30!). Già la prima volta a Cana le parole della madre “non hanno più vino” incontrarono il suo aperto rifiuto “che c’è tra me e te o donna? non è ancora giunta la mia ora”. Ma sappiamo allora come andò a finire…! Anche qui il funzionario del re, come là la madre, non sembra né cedere, né cercare di convincere Gesù con argomenti teologici: semplicemente lo riconosce “Signore”, pienamente libero di decidere secondo la sua insindacabile volontà, e allo stesso tempo gli ripete la sua drammatica richiesta di vita, prima che la morte gli porti via il figlio e il futuro. “Scendi!”, vieni a visitarci, in questo nostro abisso di paura e di dolore, inermi davanti alla morte; non abbandonarci! Ma Gesù non scende, e non scenderà. La sola cosa che gli dona è la solitudine di una parola fragile dietro cui camminare: “Va’, tuo figlio vive”. Tutto qui. Non “segni e prodigi” davanti ai quali credere, ma una semplice povera parola di vita e un cammino. “Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino”, quasi a smentire la frase categorica e al limite dello sprezzante di Gesù: “se non vedete segni e prodigi voi non credete”. A volte ci sono da superare delle montagne per rimanere saldi nella fiducia, soprattutto quando anche il volto di Dio ci sembra ostile. E’ lì dentro, in quel cammino solitario tenendo stretta la parola di Gesù, che l’uomo vede venirgli incontro la notizia buona della vita. A che ora? L’ora “giunta” della parola di Gesù, l’ora della fede nuda. Anche quella parola detta “a denti stretti”, quasi controvoglia, dentro un contesto che al di là delle apparenze Gesù avverte in realtà indisponibile, quella parola è, per quest’uomo ferito, credente e in cammino, la parola potente del Verbo fatto carne, la “luce che era la vita degli uomini” (1,4), e che non può che comunicare vita al corpo ormai preda della morte di quel figlio. Così Gesù si rivela come il “Figlio unigenito che viene dal Padre pieno di grazia e di verità” (1,14), una seconda volta a Cana, e ancora una volta in modo “oggettivo”, corporeo, quasi sottratto alla sua stessa volontà. E questa manifestazione è il luogo della fede di quest’uomo “e di tutta la sua casa”; non solo credere alla sua parola, ma a Gesù stesso come colui dalla cui “pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (1,16).

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