Collatio 3-8-2019

Giovanni 5,19-23

Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo.

Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato».

Gesù prende la parola, e a coloro che vogliono ucciderlo perché vedono in lui un bestemmiatore usurpatore di prerogative divine, confida il senso più intimo e profondo della sua relazione con il Padre, con una testimonianza diretta e semplice: “in verità in verità io vi dico”. E’ una ammissione in tutta sincerità di quel che sta al cuore di tutto: con le espressioni che descrivono la devota dipendenza di un figlio dal padre, Gesù attesta la sua piena e perfetta dipendenza dal Padre suo. Da se stesso non può fare nulla ma è tutto intento nella contemplazione dell’operare sapiente del Padre, come un figlio che impara il mestiere del padre osservandone pieno di ammirazione quelle mani che mentre operano consegnano amorevolmente la propria arte. Sembra la risposta alla domanda che nei sinottici gli era stata posta dai suoi concittadini: “da dove gli viene questa sapienza e i prodigi? non è costui il figlio del falegname?” (Mt 13,54-55). Sì, è proprio contemplando le mani e l’arte del padre Giuseppe che anche Gesù impara il mestiere di “falegname” (nel parallelo di Mc 6,3 è Gesù stesso chiamato “il falegname”…!), e ancora più profondamente è contemplando l’opera del Padre celeste che ne accoglie la sapienza operosa (ecco da dove viene!) e si riconosce Figlio a cui nulla è nascosto dal Padre suo: “il Padre ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa…”. Gesù riconosce di essere amato dal Padre, perché il Padre gli mostra il suo operare nel mondo e nella storia; Gesù vede il Padre all’opera in ogni cosa, in ogni creatura, in ogni vicenda: questo è il suo sguardo contemplativo e ammirato di figlio, e da qui sgorga il suo operare secondo l’agire stesso di Dio. Non solo. Sa che opere ancora più grandi, come già disse all’entusiasta Nicodemo (1,50), attendono di essere rivelate: l’opera del Padre affidata al Figlio, di cui con la guarigione del malato alla piscina è stata solo un anticipo, è risurrezione dei morti e dono della vita! Anche per i suoi interlocutori, la porta attraverso la quale entrare nella comprensione di questa relazione filiale è la meraviglia, aprirsi alla contemplazione ammirata della bellezza dell’opera di Dio in Gesù: il dono della vita che vince la morte, già presente in germoglio dentro le pieghe della creazione e della storia, è tutta in Lui! Tutta questa opera è affidata ora al Figlio, costituito luogo di discrimine per l’umanità: chi non accetta di entrare in questo sguardo filiale, pieno di stupore e del riconoscimento dell’amore del Padre, non è in grado di “onorare” il Figlio, di intendere l’intimità della sua relazione con il Padre. In Gesù tutto questo è offerto ai suoi interlocutori, in modo scoperto e disarmato, e per questo anche esposto alla incomprensione, alla irrisione, al rifiuto, alla violenza. E’ un segreto di amore che non può essere imposto, ma solo donato e accolto con umile gratitudine e rispetto, ma quindi anche misconosciuto e calpestato; Gesù l’aveva detto arrivando in Galilea, come i sinottici proprio, guarda caso, durante la già citata visita a Nazareth: “un profeta non riceve onore nella sua patria!” (4,44). Senza la meraviglia che diventa apertura all’opera di Dio in Gesù, è impossibile “onorarlo” comprenderne la totale dipendenza dal Padre. E’ la stessa assoluta dipendenza di amore che Gesù consegnerà ai suoi discepoli nell’ultima ora: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla… Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (15,5-15).

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