Giovanni 6,22-27
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli.
Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
La folla, che seguiva Gesù (v. 2) e che lui stesso contempla venire a Lui (v.5), torna ora protagonista, dopo il tentativo da parte degli “uomini” di “strapparlo per farlo re” (vv. 14-15) e l’incontro dei discepoli con il suo mistero di santità (vv. 16-21). Per quanto la folla cerchi di capire gli spostamenti di Gesù, i conti non tornano: la ricerca della folla si apre a una dimensione nuova, imprendibile, della presenza di Gesù, che non può esaurirsi neppure nella compagnia dei discepoli; va oltre. E intanto la memoria del banchetto offerto da Gesù comincia a farsi più profonda: di là dal mare, il giorno prima, hanno mangiato “il pane” (al singolare), dopo che “il Signore” (Gesù è chiamato con il titolo della gloria divina) aveva “reso grazie” (con il termine dell’eucarestia). Lui è “di là dal mare” sia quando nutre la folla (v. 22), sia quando si sottrae, lo si cerca e lo si ritrova (v. 25). È lui la Sapienza di Dio che nessuno può prendere “attraversando il mare” (Bar 3,29s) e allo stesso tempo è lui la Parola che non è “oltre il mare” ma vicina, nella tua bocca e nel tuo cuore (Dt 30,11-14). Gesù, donato a noi e insieme irraggiungibile, che può essere accolto solo quando riconosciamo di non poterlo possedere, ma di appartenere noi a Lui. Nella folla che lo cerca non c’è più ora la volontà di prenderlo, ma una domanda: “Rabbì, quando sei venuto qua?”. C’è l’umano desiderio di capire, di risolvere l’enigma, ma anche, ora, riconoscendolo maestro, di ascoltare la sua parola. A questa folla che non demorde, che lo va a cercare finché non lo trova, Gesù dona una parola di verità, e di vero nutrimento. Gesù li aveva saziati, aveva dato loro cibo “finché ne vollero” fino a “riempirli” (vv. 11-12). E’ da quella esperienza di piena soddisfazione, di abbondanza che Gesù li spinge verso ciò di cui quella sazietà fisica è “segno”: il dono della sua vita abbondante. Nella relazione con Lui possiamo trovare un cibo che ci nutre in pienezza e in modo duraturo, “per la vita eterna”. Altrimenti se rimaniamo solo al pane che ci ha saziato, ricominciamo sempre d’accapo (come la Samaritana… 4,15!). Sì c’è da darsi da fare: c’è un lavoro, una ricerca, uno scavo continuo, perché la nostra relazione con Gesù divenga ogni giorno sempre più, nella fede, un vero nutrimento che rimane. È il lavoro che ci rende pronti, aperti, per accogliere il dono della vita e dell’amore che Gesù riceve dal Padre. È il fine di tutto: la partecipazione allo Spirito, cioè a quella comunione vitale che scorre incessantemente tra il Padre e il Figlio, e di cui il Figlio, Gesù, è costituito dispensatore “con sigillo” per tutti gli uomini.