Giovanni 6,48-59
48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
59 Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.
Gesù, continuando il suo discorso sul pane della vita, comincia a parlare di morte: i padri, che pur avendo mangiato della manna “sono morti”, e, per contrasto, un “pane disceso dal cielo”, offerto “perché chi ne mangia non muoia”. La volontà di vita del Padre per il mondo si realizza in un dono che vince la morte: il pane che non solo dà vita, ma un “pane di vita”, anzi un “pane vivo”, che è lo stesso Signore Gesù vivente. Ma qui il discorso sul pane, comincia ad assumere un nuovo linguaggio, si comincia a parlare di “carne”: “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (cfr. invece v. 33). L’ingresso di questi nuovi personaggi, i “Giudei”, pone in modo via via più drammatico la risposta di chiusura e di rifiuto al dono di vita che viene dal Padre e si rende disponibile in Gesù. A loro che erano entrati in scena con quella manifestazione di incredulità che è la “mormorazione” (cfr. Es 16,2), Gesù aveva per prima cosa detto “non mormorate tra voi!”. Infatti è tra di loro, e non apertamente con Gesù, che parlavano di Lui, e della sua pretesa di essere “disceso dal cielo”, opponendo la loro conoscenza della origine umana di lui. E nonostante l’appello diretto di Gesù (“in verità in verità dico a voi: chi crede ha la vita eterna!” v. 47), i Giudei continuano a parlare tra loro, e in modo sempre più aspro, combattivo: “allora i Giudei si misero a discutere aspramente (lett. “combattevano”) tra di loro…” (v. 52). Potremmo dire che il segnale più chiaro della durezza e del rifiuto di Gesù da parte dei Giudei è proprio questo: non considerarlo un interlocutore, ma inasprirsi in una violenza che ha lui per oggetto. Per questo Gesù comincia a parlare di morte, non solo come esito del rifiuto della vita, ma come esito del suo stesso donarsi: la “carne per la vita del mondo” è la carne di colui che sarà messo a morte, per il rifiuto di un dono di vita che in questo modo si realizzerà proprio nell’atto di essere rifiutato. Dice Gesù ai Giudei: voi, che con la vostra violenza vorreste togliermi di mezzo, divorarmi, eccomi a voi, mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue per avere vita! Il pane diventa carne e sangue perché il dono di vita fa emergere la violenza del rifiuto, affronta questa violenza, la attraversa e la trasforma in amore che si dona. Per questo il “mangiare” diventa “masticare” (così letteralmente ai vv. 54 e 56!), laddove la violenza si trasforma nella forza con cui si partecipa ad una vita donata fino al sangue, fino alla morte. Mangiare il suo corpo e bere il suo sangue diventa un atto di denuncia della violenza, e di trasformazione quotidiana della violenza in dono di amore per la vita. Questo significa che “chi mangia me vivrà per me”: è partecipare al dono di Gesù fino alla piena offerta di sé, così come la sua vita e la sua missione è tutta partecipazione alla vita del Padre. Dimorare in lui, come lui dimora in noi. “Operate il cibo che rimane…” aveva detto Gesù all’inizio di questo discorso (v. 27) e ora quel darsi da fare nella relazione di fede con Gesù prende la forma di un “masticare”, di un fare nostro, assimilare, un dono di vita che è forza invincibile di amore, potenza di trasformazione della violenza in un dono ancora più totale e incondizionato. Vive in eterno chi, nutrendosi di Lui, dona la vita; dirà Gesù davanti alla sua passione e morte: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto” (12,24).