Giovanni 7,10-15
Ma quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto.
I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: «Dov’è quel tale?». E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: «È buono!». Altri invece dicevano: «No, inganna la gente!». Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei.
Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?».
Balza agli occhi un comportamento di Gesù che giudicheremmo incoerente o strategico… aveva appena finito di dire ai suoi fratelli “io non salgo a questa festa” (v. 8) e ora, dopo appena due versetti, quando i suoi fratelli effettivamente salgono a Gerusalemme, “vi salì anche lui”. Forse semplicemente Gesù cambia idea, e non sarebbe l’unica volta che succede nei vangeli (con buona pace delle nostre rappresentazioni un po’ astratte e monolitiche di Gesù; cfr. p. es. l’episodio in Mt 15,21-28). Il suo ascolto del Padre, nel vivo delle vicende che attraversa, gli permette di soppesare le parole dei suoi “fratelli” e di cogliere nel loro invito a salire a Gerusalemme il senso di una responsabilità storica che sente di dover affrontare. Quindi sì, di fatto Gesù decide infine di salire, ma a suo modo però: non “apertamente” come gli veniva indicato dai fratelli (che avevano altre intenzioni rispetto alle sue…), ma “come di nascosto”. Decide di partecipare alla festa “In incognito”: attende fino a metà della festa (che durava per sette giorni) per rivelarsi. Nel frattempo lo immagino in un angolo, un po’ coperto, osservare la gente, ascoltare i discorsi che si fanno… forse non vuole cominciare a insegnare prima di aver sentito cosa dice la gente? E difatti la sua apparente assenza desta curiosità, stupore: torna quel verbo, caro al vangelo di Giovanni, che questa volta ha per soggetto i Giudei, i quali “lo cercavano e dicevano: dov’è quel tale?”. Sembra vederli, con gli occhi di Gesù nascosto, andare in qua e in là, ossessionati da Lui e dal tentativo di controllarlo, più che interessati alla festa, ostentando un certo disprezzo (“quel tale…”) che mal cela il timore di pronunciare anche solo il suo nome. E poi la folla, che per quanto intimorita dalla presenza minacciosa dei Giudei, fa sotto sotto un gran parlare di lui, ma senza arrivare a nulla, e rimanendo divisa; sembra quasi che finché non è lui stesso a rivelarsi, nessuno sa trovarlo o arrivare a prendere una posizione su di lui. Incuriosisce però, quasi en passant, l’espressione di alcuni della folla che dicevano “È buono”. Sembra il segno di quella percezione spontanea della gente, che sa vedere e riconoscere in Lui, nel suo modo di essere, di parlare, di comportarsi, un “uomo buono”, ed è bello sentire questa pennellata che ci fa cogliere un tratto umanissimo di Gesù, nel mezzo di un vangelo che sembrerebbe interessato per lo più ai suoi tratti forti, consapevoli, solenni di Figlio di Dio, che incutono rispetto, timore. E invece qui lo vediamo: prima nella fatica di un discernimento difficile, che gli fa addirittura cambiare idea, poi nascosto in mezzo alla gente, e infine ora descritto così, con semplicità, “buono”. Ma accanto a questa considerazione di alcuni, ci sono altri, che sembrano già “imbeccati” dai Giudei: “no, inganna la gente”. In ogni caso meglio non parlare di Lui: per i Giudei, di cui tutti hanno paura, è divenuto un assillo, perfino un tabù. Dopo questa immersione nel “clima” della festa (e possiamo immaginare che in quei primi tre giorni Gesù stesso se ne sia ben reso conto…!) Egli sale al tempio e si mette ad insegnare. Esce allo scoperto e comincia a dare pubblicamente la sua interpretazione delle Scritture, come un maestro autorizzato. Questo non può che riempire di sconcerto (più che di “meraviglia”…) i Giudei, che al tempo stesso finalmente lo trovano, ma con la sgradita sorpresa di vederlo prendersi un posto che ai loro occhi non può competergli: Gesù non è stato istruito nelle scuole rabbiniche che vantano una ininterrotta tradizione di interpretazione della Torà direttamente da Mosè. Come può pretendere di conoscere il senso autentico delle Scritture e di insegnare al popolo?