Collatio 07-09-2019

Giovanni 8,53-59

«Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?».
Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete.

Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

 

L’obiezione difensiva dei Giudei suona simile a quella interlocutoria della donna samaritana e ironizza sulla pretesa di Gesù: “Sei tu più grande del nostro padre Abramo…?”, “Sei tu più grande del nostro padre Giacobbe…?” (in 4,12). Là però il dialogo si era aperto a un riconoscimento di Gesù da parte della donna, qui, dopo un’iniziale consenso di fede, la domanda dei Giudei prelude invece a un definitivo rifiuto. Ma l’atteggiamento è sempre quello, ben riconoscibile, di fronte alla presenza nuova di Gesù: l’insuperabilità della propria tradizione codificata (…e morta!). Ma all’accusa di glorificare se stesso (“chi credi di essere?”) Gesù risponde con la sua unica verità, sempre fedelmente relazionale: egli non è un self-made man, è il Figlio la cui unica gloria è quella che riceve dal Padre. La differenza è proprio questa: Gesù come Figlio conosce il Padre, e non può che testimoniare questa relazione che lo costituisce nell’essere; i Giudei invece parlano di ciò che non conoscono: “voi dite ‘È nostro Dio’ e non lo conoscete”. È sempre il rischio di ogni discorso religioso: parlare di ciò che non si conosce, di cui non si fa reale esperienza! È l’ipocrisia religiosa, che in nome di una superiore conoscenza di Dio e di una indiscutibile appartenenza a Lui, inganna, manipola, intimidisce, soggioga, esercita un potere. Gesù propone, per una vera liberazione, di osservare la sua parola (8,31), perché lui per primo conosce il Padre e osserva la sua parola! Gesù è il Figlio, su un piano più alto di Abramo, l’amico di Dio. Gesù è il vero Isacco (nome che la bibbia collega al verbo “gioire”, Gen 21,6), il figlio amato della promessa, anzi Gesù precede Abramo stesso su un piano di consistenza nell’essere (“Io sono” cfr. Es 3,14!) che “era in principio, presso Dio” (1,1). Dopo questo terzo, ultimo, solenne “Io sono” di Gesù (dopo 8,24.27) i Giudei interrompono il dialogo e passano alla violenza (per lapidazione: il “bestemmiatore” come “l’adultera” in 8,5…). Gesù torna a quella posizione “nascosta” con cui era giunto all’inizio della festa (7,10), ed esce dal tempio. Con questa uscita si conclude drammaticamente anche l’ultimo grande giorno della festa delle Capanne nel rapporto intenso e rischioso tra Gesù e i Giudei.

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