Collatio 12-09-2019

Giovanni 9,35-41

Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Quando Gesù sente dire che il cieco guarito è stato “scomunicato” dai Giudei, non lo abbandona nella solitudine, ma lo va a cercare e lo trova. Come Gesù anche il cieco è stato rifiutato, e a motivo suo; e non per una vera e propria professione di fede in Lui, ma per non smentire la verità della sua esperienza con Gesù, e quindi per non tradire se stesso. È qui, in questo spazio degli esclusi, che Gesù e il cieco si ritrovano. “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?… E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Ed è qui che il cieco porta a compimento il suo cammino di “neo-vedente”, davanti a Gesù che si offre finalmente a Lui: “Lo hai visto è colui che parla con te”; come si era offerto ad un’altra “esclusa”, la donna Samaritana e peccatrice (… le aveva proprio tutte!): “Sono io che parlo con te” (4,26). La risposta del cieco guarito è semplice e immediata, e giunge al culmine di un percorso fatto tutto finora in “assenza” di Gesù, senza averlo neppure mai visto, ma sempre più profondamente e realmente unito a Lui: “Ed egli disse: ‘Credo, Signore’ e si prostrò dinanzi a lui”. Il cieco non è un perseguitato a motivo della sua fede; a rovescio: è un uomo che giunge alla fede in Gesù accettando di essere perseguitato, lo trova proprio in quella esperienza comune di esclusione e rifiuto. Gesù prende ancora la parola, ma ora non più rivolto al cieco, bensì a coloro che gli stanno attorno: la sua presenza e la sua missione sono ormai sempre di più il luogo di un discrimine per coloro che lo incontrano. E questa inevitabile presa di posizione nei suoi confronti produce un ribaltamento “perché coloro che non vedono vedano, e coloro che vedono diventino ciechi”. C’è chi è consapevole di vagare al buio, di non sapere la strada, che non smette di cercare con umiltà, e incontrando Gesù accetta di seguirlo, riconoscendo in Lui il volto del Padre che illumina la sua vita, il volto degli altri e ogni cosa; e c’è chi, come questo gruppo di farisei che lo seguono, presume di sapere, chi giudica, chi non lascia spazio alla luce perché non ne sente il bisogno o ne ha paura, chi non si lascia interpellare dagli altri e dalla vita perché ha un’idea e un ruolo da difendere, e così rimane chiuso nella sua tenebra. Il peccato che Gesù, l’agnello di Dio, è venuto a togliere, è la chiusura triste e violenta dell’incredulità che rifiuta Dio e i fratelli e che ha per esito la morte. E questo peccato “rimane” se continuiamo a dire “noi vediamo!”, noi abbiamo ragione, “prima noi!”: c’è un senso di appartenenza accecante in cui ci si convince reciprocamente di essere “dalla parte giusta”, e c’è invece un cammino in cui ciascuno è chiamato a rispondere personalmente all’invito di Gesù alla relazione con Lui: una relazione che apre i tuoi occhi, che può farti passare per una strada di incomprensione, di persecuzione e di rifiuto, ma che infine si apre per te al dono di una comunione piena, intima e incrollabile.

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