Collatio 30-09-2019

Giovanni 12,27-36

«Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?». Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

Dalle parole ai discepoli Gesù passa ad una preghiera al Padre, non prima di aver fatto i conti, in un conflitto tutto interiore, con l’ora suprema. Le parole del salmo che affiorano sulle sue labbra in questo momento di angoscia esprimono un turbamento profondo dal quale il salmista chiede l’intervento di salvezza di Dio, come in tanti altri salmi che esprimono la sofferenza del giusto. Ma Gesù decide di prendere un’altra strada: non più la richiesta di una propria salvezza, ma la glorificazione del nome del Padre. Così il vangelo di Giovanni riscrive l’agonia di Gesù: non come un conflitto tra la sua volontà e la volontà del Padre che si scioglie nell’abbandono e nell’obbedienza filiale (i vangeli sinottici), ma come un travaglio interiore dal quale esce scegliendo liberamente di glorificare il nome del Padre e cioè mostrando al mondo l’amore del Padre nell’offerta di se stesso. La voce dal cielo (che nei sinottici troviamo al battesimo e alla trasfigurazione) nel vangelo di Giovanni risuona solo qui, come solenne e definitiva espressione del compiacimento del Padre per Gesù, che attraversando il turbamento di andare incontro ad una morte violenta, accetta fino in fondo le conseguenze del suo operare per la vita degli uomini (la risurrezione di Lazzaro è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso…), e si decide liberamente per il dono di sé: “Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo, nessuno me la toglie, io la do da me stesso” (10,17-18). Ma è proprio in questo modo, con la sua libertà di amore, che “il principe di questo mondo sarà gettato fuori”; è con la sua libertà che la schiavitù della paura e della violenza che domina il mondo è vinta. Il diavolo è vinto, perché è vinta la logica della necessità, che è la logica della morte. Una libertà di amore e di vita così splendente non è comando di un Dio che costringe, ma forza di attrazione verso tutti: “io quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”. Alle domande dottrinali della folla Gesù non risponde più. Non è più il tempo delle dispute. È il tempo di lasciarsi illuminare da quella luce che ancora per poco li rischiarerà, la luce della sua umanità tutta pienamente liberata nell’obbedienza al Padre e nell’amore verso i fratelli: una luce dalla quale lasciarsi illuminare, prima scendano le tenebre, una luce nella quale camminare, alla quale credere, affidarsi, della quale diventare figli. Gesù non va alla morte per affermare se stesso, ma per affidare a noi la luce del suo cammino, perché possiamo anche noi vivere della sua libertà e del suo amore.

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